Razionalizzare una passione è spesso una perdita di tempo e rischia per giunta di evolvere in una rischiosa, avventurosa, sonora arrampicata sugli specchi. Ma eccomi mentre cerco di dare un senso al mio vagare compulsivo per tutti i thrift shop e i negozi vintage delle città italiane, europee, americane nonché dei luoghi remoti d’ogni dove perché è nelle zone rurali che si nasconde il meglio, come anche per le auto e per le moto.
Le ragioni del perché mi ostino a comperare abiti vintage sono due: etica ed estetica che agli occhi degli aristotelici sono profondamente interconnesse. D’altra parte, può ciò che è giusto essere… brutto? Non credo proprio.
L’etica nell’acquisto di un capo di abbigliamento vintage, sia esso usato o un fondo di magazzino (New Old Stock o NOS come dicono gli esperti) risiede nel fatto che esso sia già stato prodotto e che non sia dunque necessario utilizzare nuove materie prime e consumare acqua per immetterlo sul mercato. “Anche gli abiti presenti sugli scaffali di Zara e H&M sono stati già prodotti e spediti nei negozi”, mi direte voi. Ebbene, interrompere l’acquisto di abbigliamento nuovo fa sì che le catene fast fashion rispondano immediatamente con un rallentamento della pianificazione, e dunque della produzione, a tutto vantaggio del pianeta e delle sue risorse che – ricordiamolo – non sono infinite. Vale anche la pena ribadire che l’industria tessile è una delle più inquinanti in assoluto e che ciascuno di noi abitanti dei paesi occidentali possiede almeno tre volte tanto i vestiti di cui ha realmente bisogno.
L’estetica è legata al fatto che un capo di abbigliamento vintage sia, nel 90% dei casi, senza tempo, vale a dire non legato alle mode ma destinato, anzi, a divenire tanto più bello quanto più passano gli anni. Pensiamo a una vecchia giacca di pelle con una storia, magari come questo Avirex G-1, a un Barbour International che ha corso la Sei Giorni Internazionale di Enduro, a un paio di Levi’s 501 che hanno riaccompagnato i soldati americani a casa dopo la Seconda Guerra Mondiale o, più banalmente, cha abbiamo indossato al nostro primo concerto rock venti o trent’anni or sono. Lo stesso vale per gli orologi: un tempo, anche le marche più blasonate producevano casse più piccole, più eleganti. Oggi, qualunque orologio sportivo assomiglia più a una sveglia che a un accessorio da polso col risultato che, a indossare un pezzo vintage, si viene notati di più di chi spende migliaia di euro in gioielleria.
C’è poi un altro fattore, quello economico che, nel mio caso (qualche volta ma non sempre perché il vintage di buona qualità costa), si riassume nella considerazione successiva all’acquisto “ho comperato una capo di valore e ho anche risparmiato”. Vi porto un esempio: i migliori Levi’s 501 dell’epoca moderna sono quelli made in U.S.A. degli anni ’90. Il denim (leggi: il tessuto) è migliore: più resistente e elastico e si adatta facilmente a qualunque forma. Hanno la vita alta il giusto, sono eleganti insieme a un blazer e la gamba cade bene eliminando l’effetto slim-fit stravisto negli ultimi 20 anni, spesso su fisici che slim non sono proprio. Questi jeans si trovano dai 30 ai 50 euro in condizioni ottime: la metà rispetto a un Levi’s anni 2020 di scarsa qualità e made dappertutto tranne che dove ci si aspetterebbe.
Accennavo al fatto che il vintage di buon livello costa. Questo vale anche per il lusso perché certi capi e accessori di firme come Louis Vuitton, Hermès e Gucci spuntano prezzi molto alti ma la rarità, le condizioni e, in alcuni casi, il valore collezionistico giustificano le richieste. Basti pensare a quanto vengono scambiate la Birkin Bag e la Kelly Bag di Hermès.
Per quanto riguarda l’abbigliamento maschile, la ricerca riguarda perlopiù l’Ivy Style, il workwear e le sneakers. Con il primo, si fa riferimento allo stile dei campus americani ed ecco allora che Brooks Brothers, J. Press, Ralph Lauren sono i marchi più ricercati. L’iconografia workwear è decisamente più hipster e i marchi culto sono Carhartt, Levi’s, Wrangler e Lee, oltre alla linea RRL di Ralph Lauren. Nell’abbigliamento sportivo, i capi vintage più ricercati sono Patagonia, Barbour e Filson per i capispalla e Nike per le scarpe. Le sneakers sono un caso a sé per il valore che alcune tra esse hanno raggiunto negli ultimi anni ed è opportuno essere buoni intenditori per evitare di sbagliare l’acquisto.
Di seguito, un breviario su come muoversi nella ricerca di abbigliamento vintage:
Le mie piattaforme preferite per gli acquisti sono Ebay, Asos Marketplace e Vinted. La query di ricerca, ad esempio, per i Levi’s 501 è “Levi’s 501 made in U.S.A. W30 L34”. Vado specifico sulle taglie, nel mio caso W30 L34 per scegliere l’anno di produzione e gli altri dettali tra i risultati che mi appaiono, così da non perdere tempo a esaminare capi che comunque non mi andrebbero bene. Attenzione al “made in U.S.A.” perché spesso escono più risultati con “made in U.S.”; vale dunque la pena testare entrambe le query. Se cerco un Barbour, inserisco anche qui la taglia prendendola, possibilmente, da una giacca Barbour che già possiedo. Se non ne avete una a portata di mano, cercate la guida alle taglie di Barbour (o Belstaff, Burberry…) su Google e prendete a riferimento un altro capospalla – uno presente nel vostro guardaroba e che vi sta bene – per confrontare le misure. Sembra complicato ma è un lavoro di due minuti.
I mercatini dell’antiquariato della domenica offrono spesso ottime occasioni vintage ma, se volete andare sul sicuro, visitate l’East Market a Milano, i Wildays e il Motor Bike Expo: la scelta è infinita e il desiderio di procurarsi un bel capo d’abbigliamento è solo una delle tante ragioni per recarsi a quegli eventi.
Alcuni marchi hanno creato delle linee vintage / heritage ispirati alle loro icone del passato o all’abbigliamento classico da lavoro o da occasioni più formali. È il caso della linea RRL di Ralph Lauren o di Fay Archive di cui anche l’amico di Rust and Glory Regis Guyot è testimonial. Altri marchi sono nati più di recente sull’onda della tradizione proponendo capi dal design ricercato e dalla qualità eccellente, come l’italiano Shangri-La Heritage e l’americano Dehen. In questo caso, si tratta perlopiù di capi nuovi ma che parliamo di nicchie, e non certamente di fast fashion, lo si capisce anche dai prezzi.
Il mondo vintage è tutto da scoprire e da… studiare ma, se la passione è latente, spero che questo articolo vi abbia ispirato almeno un po’. Se volete approfondire anche al di fuori dell’abbigliamento, nella guida agli investimenti per il 2023 avevo già messo a fuoco l’argomento.
– Pier Francesco Verlato
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