Vecchie auto a San Francisco: l’analogico è poesia

Il tempo s’è fermato per le vie di San Francisco e una fredda nebbia si distende sui pendii brulicanti d’antiche glorie meccaniche con la leggerezza d’un velo da sposa. Il respiro cosmico si sprigiona dalla baia e appanna le finestre, ottunde la città e le nostre menti d’una serenità soporifera. Il morbido tepore mattutino compie un balzo in avanti al primo caffè, mutando dalla silente paranoia dei Mister Hyde crepuscolari alla schizofrenia creativa dei Dottor Jekyll visionari.

San Francisco è tutto questo e molto di più, ché a descriverla in quattro righe si fatica da matti e allora cogliamone le sfumature. Il vintage che resiste, miracoloso, rugginoso, a ogni angolo di strada. La libertà di sentirti nei ’60 del ‘900 – zampa e cappelloni – o proiettato ai ’60 del 2000. Il rispetto senza titubanza per chiunque soggiorni sui marciapiedi che furono di Janis, di Jimi, di Lawrence e di Jack*. Il mio rispetto, e qualcosa di più vitale che assomiglia a ammirazione, va agli autori di questi scatti: analogisti incrollabili, poeti impenitenti d’un romanticismo fatto di scorci, di luci, d’appostamenti all’alba.

Grazie Askar e Nat per spingermi nel fuoco del vostro pathos. Grazie di cuore.

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*Joplin, Hendrix, Ferlinghetti, Hirschman

Testo di Pier Francesco Verlato

Foto di Askar Khamdamov (Instagram: @jpgjournal) e di Nat Meier (Instagram: @softboifilms)

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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