Merry and desperate as only war reporters are

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TRADUZIONE ITALIANA IN FONDO ALLA PAGINA.

– Written by Caterina Bellinetti –

I don’t really remember how exactly I ended up here, in the middle of the jungle, only plants, roots and silence around me. I left Phnom Penh around the end of March 1970, direction Cambodia, front lines of fighting. The plan seemed good, travelling along the eucalyptus plantation near Route One, looking for the Communist troops, take some good pictures and come back. It is exactly what I signed up for when they asked for my help. Actually my job seemed way easier than theirs; I only had to show them around, what could possibly go wrong?
They were quite a pair those two Americans. One was tall and handsome, he had the looks of an actor, a smirk under the moustache. The other one looked less handsome, with big black glasses on his nose, and a distressed expression on his face. Despite their young age, they knew what they were doing, they lived for it: the thrill of the battle, that good shot that you can take only if you get close enough. They saw too much already, the war between the Americans and the Vietnamese had been going on for so long. They took enough pictures to be free to go home and not risk their lives for a good shot anymore. But when you’re young you think you are bulletproof and that nothing bad can happen to you, so you risk it once more. Apparently, they wanted to get captured by the Viet Cong troops based in Cambodia. As captives, they could have seen more, which, of course meant better pictures, real ones.

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Left to right: Sean Flynn and Dana Stone

On April 6, we were stopped in the Svay Rieng Province, Cambodia, and the two Americans were taken away. I thought they made it, their plan worked. I wasn’t allowed to go with them, but I was sure they would have come back for me, I served them well along the road. I was looking forward to hear their stories, sometimes they exaggerated the drama and added too many details, but this made their adventures even more breath taking. I knew they wanted to impress their friends, especially that Tim Page who was as adventurous and crazy as they were. I actually think I saw that Page few years ago. He was asking around for them. They were his friends. At some point he also thought he found them, lying in a grave in the middle of the jungle, but no, they weren’t there.
I was never able to say what I saw on that day of April. Nobody ever asked me either. But I haven’t lost my hopes to see them again one day, laughing and smoking, merry and desperate as only war reporters can be.
I am a red Honda CB. I am waiting for them to come back. Or at least one of them. I have been waiting here for more than 40 years and every time the leaves move around me, or something breaks this green and humid silence, I hope to see their boots coming out of the jungle. I hope to hear the sound of the cameras dangling from their necks. But the silence never ends, and I lay here, rusting on the ground, waiting for another adventure, a good one this time.

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Sean Flynn and Dana Stone were two American reporters. They disappeared in the Cambodian jungle in 1970 never to be found. The picture above was the last taken on them when they were on the way to Cambodia riding two rented red Hondas.

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Felici e disperati come solo i fotografi di guerra possono essere

– Di Caterina Bellinetti –

Non ricordo esattamente come sono finita qui, nel mezzo della giungla, tra piante e radici, e tanto silenzio intorno a me. Ho lasciato Phnom Penh verso la fine di Marzo del 1970, direzione Cambogia, prime linee di combattimento. Il piano mi era sembrato buono, avremmo viaggiato lungo la piantagione di eucalipto che costeggia la Route One alla ricerca delle truppe comuniste, avremmo fatto qualche buona foto e saremmo tornati indietro. Questo fu quello che mi dissero quando decisi di aiutarli. Il mio lavoro sembrava in effetti molto più facile del loro: dovevo solo portarli in giro, che cosa mai poteva andare storto?

Erano una bella coppia i due americani. Uno era alto e di bell’aspetto, sembrava un attore e i suoi baffi nascondevano sempre un sorriso gnignante, quasi di sfida. L’altro era meno bello, con grandi occhiali neri sul naso e una perenne espressione di disinganno. Nonostante la loro giovane età, sapevano il fatto loro, vivevano per il brivido della guerra, e per quello scatto che riesci a conquistare solo se ti avvicini abbastanza. Ma loro ne avevano già viste a sufficienza, la guerra tra Americani e Vietnamiti andava avanti già da molto tempo. Avevano scattato abbastanza foto da poter tornare a casa e non rischiare più le loro vite per uno scatto. Ma quando si è giovani, ci si sente immortali e quindi si è pronti a rischiare una volta in più. Questa volta il loro piano era quello di farsi catturare dai Vietcong stanziati in Cambogia. Come prigionieri avrebbero potuto vedere di più e quindi scattare fotografie migliori, più vere.

Il 6 Aprile fummo fermati mentre attraversavamo la provincia di Svay Rieng in Cambogia. I due americani furono portati via e io pensai che ce l’avessero fatta, il piano aveva funzionato. Non mi fu permesso di seguirli, ma pensavo che sarebbero tornati a prendermi, infondo avevo fatto loro un buon servizio durante il viaggio. Non vedevo l’ora di sentire i loro racconti, anche se a volte i due esageravano, rendendo tutto molto drammatico e gonfiando i dettagli, ma questo rendeva le loro storie ancora più coinvolgenti. Sapevo che volevano pavoneggiarsi con i loro amici, specie con quel Tim Page che era sempre in cerca di avventure e pazzo come loro. In effetti credo di averlo visto Tim Page, qualche anno fa, aggirarsi qui intorno mentre chiedeva dei due. Erano amici infondo. Ad un certo punto aveva anche creduto di averli trovati, in una fossa in mezzo alla giungla, ma no, non erano li.

Non ho mai potuto dire cosa successe quel 6 Aprile. Nessuno me l’ha nemmeno mai chiesto. Ma io non ho perso le speranze di vederli spuntare un giorno mentre ridono e fumano, felici e disperati come solo i fotografi di guerra possono essere.

Sono una Honda rossa. Sto aspettando che ritornino, o almeno che ritorni uno dei due. Sono più di quarant’anni che aspetto e ogni volta che le foglie si muovono o che qualcosa rompe questo silenzio verde e umido, spero di vedere i loro stivali emergere dalla giungla. Spero di sentire il rumore delle macchine fotografiche che penzolano dal collo. Ma il silenzio non ha fine e io me ne sto qui ad arrugginire, aspettando un’altra avventura, una buona questa volta.

Sean Flynn e Dana Stone erano due fotoreporter americani. Sparirono nella giungla cambogiana nel 1970 e non furono più ritrovati.

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