I fidanzati della morte – Recensione

Ritorna in sala il film sul mondo delle corse motociclistiche degli anni 50.

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La Rodaggio Film è una casa di distribuzione di produzioni cinematografiche. Più precisamente, il suo impegno è quello di scovare, promuovere e distribuire pellicole dedicate alla cultura delle due ruote, rare oppure mai viste in Italia.
Quest’ultimo è il caso de “I fidanzati della morte”, film di Romolo Marcellini del 1956. Grazie all’instacabile attività di ricerca di Alessandro Marotto, che ha saputo combinare in una professione la passione per il cinema e le motociclette, la pellicola è stata ritrovata, dopo un paio di anni di ricerche, presso l’archivio della Cineteca di Bologna nonostante si pensasse fosse andata distrutta.

Di cosa tratta il film dipende dal punto di vista. Può essere un triangolo amoroso o una battaglia tra centauri, una sfida tra valvole e cilindri contro cuore e fegato (e reni d’acciaio!) o la storia dell’industria motociclistica dell’epoca.
Infatti, la casa motociclistica Zetavu ricorda senza troppi misteri Moto Guzzi, al tempo un marchio vincente mentre la Fulgor riporta sul suo serbatoio quello che è il marchio della Gilera. Ma nonostante queste due storiche case italiane non vengano mai citate, i riferimenti sono evidenti: si nota bene l’ingresso della fabbrica di Mandello del Lario, la galleria del vento e i diversi cartelloni che appaiono casualmente durante le corse.
Solo Norton appare come marchio sia su un casco che su una moto, ma senza essere nominata.

Di certo, “I fidanzati della morte” è un film che esalta l’audacia e le prodezze dei centauri, della gare epiche come la Milano-Taranto, quelle di side-car sulle dirt track tedesche dove si scommetteva sulla propria vita e i duelli feroci lungo il circuito di Monza.
Nella sua parte documentaristica è estremamente interessante, come quella che evidenzia le fasi di messa a punto di una delle moto più innovative di tutti i tempi, la  Guzzi 8 cilindri e alle strategie di gara. A questo scopo è stata importante la consulenza tecnica di un grande di quegli anni, il pilota Bruno Francisci, vincitore della Milano-Taranto per ben tre volte in sella a una Gilera.

E’ impressionante il ritmo serrato con il quale viene descritto l’eccitante mondo delle corse motociclsitiche degli anni ’50, quasi a voler richiamare lo stesso ritmo che i piloti tengono in sella, chini sul manubrio al quale si aggrappano indomiti.

Abbiamo apprezzato la narrazione. In generale, nei film attuali non sai mai se è la colonna sonora a esaltare una scena o viceversa, mentre la maggior parte delle volte sembrano gli attori (badate bene, non parliamo dei personaggi del film ma delle persone che li interpretano) i veri protagonisti della storia. “I fidanzati della morte” è un film che parla di moto ed è stato girato nel 1956: all’epoca, anche a Hollywood, la musica era un dettaglio trascurabile e così i veri protagonisti, allo stesso livello degli attori, sono le motociclette e la colonna sonora viene lasciata a quei rombi eccezionali che ancora adesso fanno arrossire le quattrocilindri più evolute e gli attori lasciano il posto al pilota, alla moglie tradita, all’ingegnere di una grande industria che non vuole darsi per vinto nei confronti di una piccola azienda.

Le scene della Milano-Taranto hanno reso onore a queste gara durissima, così come quelle girate nel circuito di Monza, dove i piloti mettevano alla prova se stessi prima che la macchina (come l’ing. Angelini, responsabile dello sviluppo della Zetavu, chiama le moto).

Romolo Marcellini non ha tralasciato nulla, nemmeno all’immortale dilemma se sia più importante la macchina o l’uomo. Per l’ing. Angelini “Non è il pilota che vince, ma la macchina” perché “si vince a tavolino, non sulla pista”. E infatti, è orientato a “fabbricare piloti come si fabbricano moto”. Di tutt’altra filosofia il responsabile della Fulgor, secondo il quale servono “buoni corridori, che abbiano cuore, fegato, riflessi pronti, polso fermo e reni d’acciaio”, com’è in fondo Carlo Benni, il personaggio protagonista del film (co-protagonista, insieme alle moto).

Il cast comprende, oltre una giovane Sylva Koscina e Rik Battaglia, alcuni campioni del motociclismo di quegli anni: Duke o Libero Liberati, Dickie Dale, Albino Milani e ancora Bill Lomas, Ken Kavanagh e Keith Campbell, Stanley Woods, Enrico Lorenzetti e Reg Armstrong.

“I fidanzati della morte” è un film per cultori, per nostalgici della motocicletta, per quelli che sospirano al rombo di quei motori. Girato nel 1956 non è mai stato proiettato e ha vissuto 60 anni di oblio, fino al suo ritrovamento e poi proiettato a Milano e a Bologna. Siamo stati davvero felici di aver assistito alla proiezione a Vicenza nell’ambito di una rassegna Odeon Lab: Prospettive.

Ora la stessa Rodaggio Film vuole restaurare i negativi ritrovati e utilizzati per la proiezione e ha aperto una raccolta fondi su Kickstarter (non poteva esserci luogo dal nome più indicato!).

La trama. Il motociclista Carlo Benni, vincitore di alcune gare, in dissidio col direttore tecnico ing. Angelini, lascia la casa di produzione “Zetavu” (che ricorda senza troppi misteri la grande Guzzi vittoriosa di quegli anni) e passa alle dipendenze del proprio suocero Lorenzo, rappresentante di un’altra casa, la piccola e promettente “Fulgor”. Carlo si infatua di Lucia, la figlia dell’ex principale, e la passione gli fa abbandonare la moglie, ex stella del “muro della morte”, e il suocero. La relazione con la giovane finisce però poco prima dell’inizio della Milano-Taranto. In seguito ad un pauroso incidente nell’ultimo chilometro, Benni non soltanto non vince la gara su strada più famosa del tempo, ma incorre nella squalifica. In Germania, dove si è recato per partecipare a folli corse su pista di terra battuta, lo raggiunge la moglie, che gli è compagna in una gara di sidecar. Anche grazie alla vincita in denaro Benni riscatta un prototipo innovativo del suocero Lorenzo, ad iniezione diretta: la “Freccia”, costruita per la gara di Monza. Qui Benni ha per avversario l’ing. Angelini, ex pilota, in gara su un prototipo simile ma ancora non messo perfettamente a punto. Il pericolo lo attende alla fantomatica Curva Parabolica del circuito monzese, ai tempi detta Curva del Porfido…

 

Testo di Alessandro da Rin Betta

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