– testi di Marco Latorre –
Era da poco finita la Prima Guerra Mondiale quando – nei pressi di Peterborough, a un 60 chilometri da Cambridge (UK) – il Sig. Pidcock ebbe un’idea semplice e geniale.
Come quasi tutti i Paesi del Vecchio Continente, il Regno Unito aveva subito gravi perdite e stava cercando di rialzarsi; le risorse erano scarse e si razionava tutto, carburante compreso. Il Sig. Pidcock era un motociclista ed ebbe un’idea. Convertire la propria Douglas in una moto elettrica. Non c’erano grandi velleità, bastava che la moto fosse in grado di percorrere poche miglia, il tragitto casa-lavoro.
Il Sig. Pidcock – che si presume fosse un inglese molto in gamba – riuscì nell’impresa: la sua “special” sfiorava i 30 km/h e non era in grado di percorrere più di 8 chilometri. Un risultato soddisfacente considerata la tecnologia dell’epoca. E poi quell’autonomia era più che sufficiente per andare e tornare da lavoro.
Dopo quasi cento anni, come abbiamo potuto constatare all’edizione 2016 di Eicma, l’idea del Sig. Pidcock fa ancora un certo effetto: per alcuni suona geniale, per altri sta finalmente diventando profittevole e per altri è assolutamente necessaria. Anche perché il cambiamento climatico e le politiche di riduzione delle emissioni di CO2 stanno influenzando drasticamente tutta la tecnologia che riguarda le nostre amate motociclette (e tutto ciò che ha a che fare con la nostra mobilità).
Chi – in questi cento anni – si è innamorato delle due ruote e del sogno di libertà che le avvolge sente il profumo della benzina e il suono virile del motore a scoppio ogni volta che pensa o guarda una motocicletta. La moto elettrica è inconcepibile. Non è una vera moto. Eppure le innovazioni tecnologiche sono anni che continuano a castigare i nostri amati motori con mille accrocchi anti-estetici che sono la conseguenza inevitabile di leggi e regolamenti sempre più stringenti in tema di salvaguardia dell’ambiente.
Più che aver perso fascino, negli ultimi decenni le moto hanno smesso di far battere il cuore dei motociclisti. Non tutti, ovviamente. Ma il circolo si è ristretto e questo ha generato diverse reazioni; tra tutte il boom della corrente “cafe racers” che oggi comprende un ventaglio enorme di varianti: scrambler, tracker, bobber, enduro anni 70, classiche più o meno rivisitate, brat, cafe racer e altro ancora.
In questo mondo variopinto costellato da motociclisti dell’ultima ora (che non sanno cambiare una batteria) ma anche da veterani esperti che hanno girato il mondo portandosi appresso uno stile fuori dal tempo, abbiamo assistito alla rinascita delle motociclette che fanno battere il cuore. Ha preso corpo e fama una sottocultura che esisteva già, un segmento piccolo di mercato che ha fatto un bel “boom”. Piccolo ma grande perché lo ha fatto in momento di reiterata crisi globale.
Il motore elettrico in questo calderone è un’antitesi. Ma cosa accadrebbe se i grandi influenzatori (i “magici” influencer) di questo micro mondo iniziassero a costruire moto speciali a propulsione elettrica?
In America sono anni che costruiscono special che si ricaricano alla corrente. Il sig Dillard – tra gli altri – ne ha fatte diverse (la più riuscita è una Yamaha R5 del 71) e poi ha scritto una guida sul come costruirle.
E in Italia? Quest’anno abbiamo visto a Verona gli Apache Motorcycles con la Midnight Runner, una special elettrica frutto di una collaborazione con Energica che ha fornito telaio e base tecnica. Il risultato è interessante e guarda da vicino a un futuro molto possibile.
Midnight Runner di Apache Motorcycle
Ancora Midnight Runner
Già ma le moto elettriche non fanno rumore… scrive un appassionato di moto su Facebook; risponde un giovanissimo: amplifichiamo il sibilo con una cassa da 80W…
Alcuni link utili per approfondire:
The Douglas Pidcock 1922/1942 Electric Motorcycle
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