Mad Max e Marlon Brando? Due Gitani Ribelli

Dimenticate la solita cafe racer laccata e perfetta, questa Suzuki GSX 1100 EF del Gitano Rebelde esce direttamente dalle sabbie di Mad Max

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Suzuki GSX 1100 EF: la special del Gitano Rebelde

Ecco la cafe racer che cercavo. Quella che discende direttamente dallo spirito dei sixties dei padri fondatori d’Oltremanica. Questa l’avrebbe voluta anche Marlon Brando per fare il figo nel suo Black Rebel Motorcyle Club. E sarebbe dovuto scendere in Pianura Padana e bussare alla porta di quel misterioso personaggio che nell’ambiente si fa chiamare Gitano Rebelde.
La moto è di Flavio, conosciuto tramite Matteo, amico comune nonché ottimo rocker. L’idea era quella di realizzare una moto dall’aspetto estremamente essenziale, che avesse il minimo sindacale (e legale) per scendere in strada.

La cafe racer ridotta all’essenziale

Ricorderete bene com’era la Gixxer nella sua forma originale, con le sue estremità abbondanti, dal codone al cupolino. Resine che abbondavano in sovrastrutture che l’hanno resa la semicarenata tra le più desiderate dell’epoca. Ma anche tra le più pesanti.
La prima cosa che è saltata in mente al Gitano è stata quella di togliere tutto quello che ingombrava e non serviva: quindi via tutto il superfluo. Ne è rimasta una moto essenziale, minimalista fatta di fili metallo olio e gomma.  L’estetica che ne consegue è leggera, con un codino che ora termina con un faro posteriore a LED, unica concessione tecnologica della moto. Il posteriore inoltre è stato modificato con uno pneumatico maggiorato e un assetto ribassato, per esaltare la sportività portata all’estremo all’anteriore dai semi manubri. Anche per il serbatoio dei freni e per gli specchietti bar-end quel Rebelde d’un Gitano si è affidato all’after market, sapendo scegliere in modo opportuno.

L’elemento che attira subito l’attenzione è il serbatoio: non è quello originale perché è quello di una Kawasaki z650, battuto e lavorato a dovere. Il risultato finale è una moto grezza, priva di qualsiasi luccichio delle cafe racer made in Italy e i fili in evidenza enfatizzano l’aspetto rude della moto.

Il motore della Suzuki GSX 1100 EF

La fama del motore della Suzuki GSX 1100 EF era tale da anticiparne il rombo. Questa special del Gitano Rebelde monta il motore originale di 34 anni fa, ma dopo tanto tempo di immobilismo è stata necessaria una revisione completa. Flavio non poteva che rivolgersi a Mario Miazzon, uno che sui motori di Hamamatsu saprebbe rimettere ogni singola vite e guarnizione a occhi chiusi. L’intervento ha completamente rigenerato il motore, con l’aggiunta di nuovi filtri per farlo respirare. Se già nella versione originale il quattro cilindri nipponico era ricco di potenza, adesso il propulsore di questa cafe racer dannata (con o senza l’accento, a vostro piacimento, la signora è del 1984 – ndr) richiede di aggrapparsi con più forza alle manopole.
La sua voce si esprime attraverso uno scarico artigianale realizzato all’occorrenza per esaltare la potenza dei 130 e passa cavalli e annunciarne l’arrivo già a centinaia di metri di distanza.

La Suzuki GSX 1100 EF special di Gitano Rebelde su strada

Già da qualche giorno avevo l’acquolina in bocca al pensiero di provare questa special del Gitano. Ci abbiamo messo un bel po’ di tempo per organizzare questa giornata e non vedevo l’ora. Sapevo cosa mi aspettava e ne ero tremendamente attratto.
Dopo le indispensabili discussioni su origine e genesi di questa cafe racer da record da pinta a pinta, indosso la giacca, infilo i guanti, allaccio il casco e saluto la comitiva. La posizione in sella è caricata sull’anteriore in modo aggressivo.

La reazione del quattro cilindri ha un leggero vuoto all’inizio, ma ai minimi il borbottio è  sublime. Le marce si innestano bene, magari si deve spingere un po’ ma è solo per la posizione di guida molto raccolta. Il peso nonostante sia rimasto poco della semicarenatura si fa sentire e i 136 cavalli non sono una cosa semplice da gestire, questa GSX non è proprio adatta a chi non ha già un po’ di esperienza. E un po’ di pelo sullo stomaco.
Dopo un po’ di curve e di alternanza di marce caratteristica delle strade urbane, finalmente arriva quel sospirato rettilineo di quasi 2 chilometri. Dentro una dopo l’altra dalla terza in su il motore si esalta mentre in sella si esulta, cercando di non flettere troppo il polso nonostante la tentazione, perché dopo tutto l’impianto frenante resta quello originale, su una moto da 136 kg che ha perso un bel po’ di peso: immaginate come ci si dovrebbe comportare. Appunto, ‘dovrebbe’, perché non si può che rendere grazie a persone come Mario Miazzon e alle sue competenze tecniche e quindi dar soddisfazione al suo lavoro. La voce del quattro cilindri di oltre trent’anni ha toni sempre più alti che escono urlando da uno scarico artigianale. Sfruttiamo più che possiamo i cavalli e il rettilineo gustando questo suono pazzesco. Si deve frenare dolcemente, un po’ in anticipo così si consuma anche meno ferodo e aiutandosi col freno motore. La scalata è rude ma il motore non sussulta eccessivamente.

Ritorno nella coda della statale, un po’ per inflazionare l’immagine di questa moto dall’aspetto post atomico e un po’ per far riprenderle fiato. Non possiamo nascondere certe vibrazioni, in fondo è una moto che ha oltre 30 anni quindi la cosa non sorprende. Tra le auto e i camion in coda comunque mi sono trovato a mio agio potendo contare su un’altezza da terra che mi permette di toccare coi piedi per bene senza alcun problema e di muovermi agilmente.

Al ritorno ai box Flavio mi ha chiesto se mi sono divertito a sufficienza. Credo fosse stata una di quelle domande retoriche perché la sera a casa avevo le guance indolenzite: provate voi a sorridere dal piacere ma allo stesso tempo stringere denti finché filate in rettilineo ai… No! Non ve lo posso dire.

 

 

Durante la prova su strada abbiamo usato:
Casco: 70s Helmets SuperFlakes Vintage Racer
Giacca: Dainese Stripes Evo
Pantaloni: Spidi Furioous Tex Jeans
Guanti: Dainese X-Strike Gloves
Scarpe: Stylmartin Marshall

Un grazie special a Matteo per l’ospitalità e il tempo che ci ha dedicato.

 

 

Ph. Credits: Edorardo Embrinati

 

Testo di Alessandro da Rin Betta

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