La storia di due amici che poco lontano da Genova nel dopoguerra realizzano artigianalmente due esemplari di moto.
– di Roberto Polleri –
Siamo negli anni Cinquanta, la guerra è finita da poco, la voglia di ricominciare è tanta. Genova è una città che tenta di risollevarsi, partendo dalle proprie macerie, dove ognuno cerca un riscatto dagli orrori di quel periodo terribile. Non lontano dal capoluogo ligure verso ponente, c’è una zona operosa ed industriale che non ha mai cessato la produzione di carta: la vallata di Acquasanta. E’ in questa delegazione che nel 1911 nascono due bambini, i cui destini si incroceranno per sempre, legati dal lavoro e da un’impresa unica che merita di essere raccontata.
I due amici si chiamano Giobatta Caviglia e Giuseppe Parodi: il primo è falegname, dalle sue mani il legno prende forma e si modifica docilmente quasi per magia, l’altro invece è un tornitore, lavora e fonde il metallo con abilità unica. Non si sa esattamente come sia nata l’idea e come si sia sviluppata, quanto ci abbiano studiato prima e lavorato poi, ma di certo il tempo non deve essere stato poco per giungere all’obiettivo prefissato. Infatti la caparbietà dei due amici li ha portati a realizzare un sogno, che forse economicamente non erano in grado di permettersi. Magari avranno girato la testa al passaggio di una Moto Guzzi “Airone” o di un Gilera “Saturno” che sfrecciavano lungo la strada polverosa sotto casa loro, sognando di guidarne una. Chissà quanti motivi oppure soltanto la voglia di sfidare quei marchi famosi, che ha fatto mettere attorno ad un tavolo i due amici che dopo mille pensieri ed altrettante discussioni hanno deciso: “la moto ce la costruiamo noi!”.
I due costruttori della moto “Falco”: a sinistra Giobatta Caviglia, a destra Giuseppe Parodi
Un’idea folle, con i pochi strumenti e le limitate conoscenze, eppure armati di grande volontà, capacità e di enorme fantasia. E allora dopo progetti, disegni e grandi parole, ecco che il sogno diventa a poco a poco reale. Le mani di Giuseppe e Giobatta lavorano alacremente attorno al metallo, ai calchi in legno e ad ogni dettaglio. I due compreranno solo le selle e le ruote, ma dopo un enorme sforzo, notti insonni e domeniche chiusi in officina a realizzare il loro capolavoro, che da li a poco vedrà la luce: la “Falco”. Gli amici sono due e le moto costruite sono appunto due. Due pezzi unici nella storia delle due ruote. Caviglia e Parodi non hanno intenzione di creare una casa motociclistica ma soltanto di appagare il loro desiderio di viaggiare in sella ad una moto vera, nata dalle loro mani. E’ il 13 agosto del 1952 quando la penna stilografica del funzionario del ministero dei trasporti scrive sul libretto di una delle due: “Motociclo di costruzione artigianale, telaio e motore sprovvisti di numero, assegnato d’ufficio il n° 92452”. Il mezzo viene regolarmente immatricolato e riporta la targa GE 24866.
La moto “Falco” ha una cilindrata di 118 cc., diametro del pistone 50 mm. corsa 60 mm., è un monocilindrico quattro tempi a due valvole che eroga una potenza di 2 CV.; all’anteriore troviamo una forcella con ammortizzatore centrale in testa, mentre al retrotreno ci sono una coppia di ammortizzatori “tradizionali” ma anche in orizzontale una coppia di pompanti paralleli al telaio che aumentano l’effetto smorzante del forcellone, una specie di sistema “softail” in stile Harley Davidson, che però arriverà circa trent’anni dopo… Il cambio ha tre marce con un selettore esterno posto dietro il cilindro, davvero bello da vedere. Anche la frizione ha un sistema di leveraggi notevole ed è collocata sul lato sinistro del blocco motore. Osservando le fusioni e le saldature, si nota anche con occhio non esperto, una decisa artigianalità nella costruzione dei pezzi ed alcune tracce che indicano l’autentica realizzazione a mano di ogni singola parte del mezzo. Il blocco motore riporta stampigliata la sigla attribuita dalla motorizzazione indicata nel libretto.
Le moto circoleranno regolarmente sul territorio genovese come mezzo di famiglia. Un aneddoto raccontato dagli eredi Parodi riporta un giro di Giuseppe con la consorte verso il basso Piemonte, lungo quella strada del “Cremolino” che ancora oggi tutti i motociclisti locali amano. In direzione del paese di Visone, la moto ha un problema alla forcella, che si spezza in un punto. Il mezzo inizia a sbandare vistosamente mentre il suo pilota cerca in ogni modo di tenerla in piedi e vi riesce nonostante tutto, raggiungendo il ciglio della strada. Un’auto che passa di li, i cui occupanti hanno osservato integralmente la scena, si ferma e i passeggeri chiedono a Parodi come abbia fatto a tenere la moto in quel modo. L’uomo risponde sorridendo “Questa moto mi conosce troppo bene… e io lei…”. Ovvio è nata dalle sue mani…
I due mezzi viaggeranno lungo le strade liguri finchè l’arrivo dei figli e la necessità di un’auto nelle famiglie dei due amici segnerà la fine della loro carriera. Le moto rimarranno chiuse nei rispettivi box, non dimenticate ovviamente, ma ferme. Poi, un giorno del 2015, ad oltre cinquant’anni di distanza, una chiacchierata tra appassionati riporterà la storia delle “Falco” alla ribalta e con questa la voglia di raccontare questa vicenda davvero unica.
Oggi le famiglie proprietarie delle due moto vorrebbero ricondizionarle e rimetterle in strada. Noi siamo pronti a sentirle pulsare ancora…
Un ringraziamento speciale all’amico Elvio Picchia per la grande ricerca di contatti svolta ed agli eredi Caviglia e Parodi per la disponibilità offerta.
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