Enduro Republic School. L’Università dell’Enduro

Vado in moto da sempre, ho percorso decine di migliaia di chilometri in ogni dove, dalla Scozia al Portogallo, ai Balcani, alla Sardegna. Quasi tutti su strada. Nessuno mi ha insegnato niente, i miei genitori non mi volevano in moto. La prima volta che provai a cambiare le marce fu a Lignano Sabbiadoro, a quattordici anni appena compiuti. Noleggiavano i cinquantini. Presi un’Aprilia Red Rose per mezz’ora, dodicimila lire, sapevo solo la teoria. Il noleggiatore mi guardava. Io ingranai la prima, lasciai piano la frizione, partii. Per miracolo ingranai la seconda e svoltai l’angolo, libero di sbagliare lontano dagli occhi di chi mi stava giudicando. Ma non sbagliai: snocciolai la terza, e la quarta. E poi la scalata prima dello stop. Mi sentivo come se fossi nato per stare in moto e passai la mezz’ora più bella della mia vita fino a quel momento.

Poi successe di tutto: arrivò uno scooter perché a metà degli anni ’90 andavano di moda quelli, lo elaborai come se avessi dovuto correrci la Moto GP, caddi tante volte in strada, per fortuna senza conseguenze. Poi le Vespe d’epoca, la BMW R1100 GS a 24 anni “per girare il mondo” (subito dopo andai a lavorare troppe ore in Fiat e il sogno venne accantonato) e infine le mie amate mono e bicilindriche anni ’80. Eppure, il terreno di gioco restava sempre l’asfalto, tuttalpiù qualche strada bianca. Alcuni amici tra KTM, TT e XR uscivano a “fare enduro” ma io stavo a guardare, sospeso nell’ammirazione di chi non vuole mettersi alla prova nonostante un piccolo, recondito desiderio di inforcare la moto a parafango alto, una sensazione pulsante tra lo stomaco e il “cervello reptiliano”, quello che non puoi controllare.

Negli ultimi anni, grazie al mio amico Simone, professore d’Italiano, Latino e Impennate al liceo (è in grado di atterrare nel parcheggio della scuola con la sua XL600 PD dopo 300 metri su una ruota sola, tra le ovazioni delle classi), sono uscito qualche volta tra mulattiere, pietraie e fettucciati abbandonati, ma dovevo essere regolarmente aspettato dal mio gentile accompagnatore e terminavo la giornata tra dolori e stanchezza. Mi sentivo come uno studente bastonato, di quelli che prendono 6 a calci nel sedere dopo l’interrogazione a fine anno. Il mio “prof. di enduro” mi trattava bene, aveva pazienza, ma mi mancava qualcosa. Con la maggiore età raggiunta ormai da un bel pezzo, dovevo per forza andare all’università.

E così, il primo novembre 2019, all’età di 39 anni ma-non-è-mai-troppo-tardi-per-imparare mi sono per la prima volta avvicinato all’enduro “tecnico”, presentandomi a Grazzano Visconti, sede di Enduro Republic, alle 8.30 del mattino accompagnato da mia moglie Alessandra. In occasione di Seconda Piena, avevo già visitato la Repubblica – come la definiscono i suoi ospiti abituali – bazzicando tra caffè e birrette con piloti dakariani e campioni da copertina, ma non avevo mai preso parte a un corso. Forte della mia ignoranza e della voglia di apprendere i basics e non solo della guida in fuoristrada, ho approcciato  Enduro Republic School. Gli istruttori sono semplicemente… dei grandi: persone calme e gentili che ti mettono a tuo agio, che ti spiegano la teoria e ti consigliano sul campo, che sorridono e ti dicono che è “normale” avere fatto una cosa che tu pensi sia una cazzata, ma che invece andava fatta così. E poi ti dicono che però, esercitandoti, potresti fare anche in maniera diversa, ma ugualmente valida. Il mio timore era quello di sfigurare in un ambiente di enduristi di alto livello, e invece mi sono subito sentito parte integrante tra nuovi amici e glorie dello sport come Lorenzo Napodano, patron e fondatore, come Andrea Brugnoni e Max Brun, soci dell’iniziativa, come gli aficionados Umberto e Vittorio.

Perdona la divagazione: chiudo la parentesi sentimentale e riprendo la narrazione della giornata. L’istruttore porta fuori le nostre moto, un paio di nuovissime Husqvarna 250 e 300 cc. La mia è la più piccola, che scoprirò essere più che sufficiente per una galoppata tra i boschi del piacentino. Due dritte iniziali, “in fuoristrada si guida in piedi” e “sporgiti in avanti”, e siamo pronti per partire. Abituato alla mia paciosa XL500 dell’82, l’Husky mi appare rigida e nervosa. Faccio spegnere il motore un paio di volte in partenza ma a differenza dell’XL, grazie a Dio, non devo pedalare per farla ripartire. Dopo un breve tratto su asfalto, mi metto alla prova su un paio di facili strade bianche. Un cenno del capo mi comunica che “va tutto bene”, e io già mi sento rincuorato di non essere una mezza calza totale. Prendiamo qualche sentiero un po’ più impegnativo ma ancora fattibile, senza avvallamenti causati dai trattori ma con la possibilità di mettere in pratica un po’ di navigazione sulle sponde in seconda e terza marcia.

Poi la svolta: prima di una breve discesa, l’istruttore mi dice “In fondo c’è una curva secca a sinistra a cui segue una salita. Prendila morbida e accelera regolarmente, senza strappi”. Seguo le istruzioni alla lettera e all’improvviso mi ritrovo catapultato nel mondo dell’enduro, quello vero, quello delle salite che sono salite, delle discese in-prima-marcia-e-casomai-un-po’-di-frizione, dei terreni fangosi e delle pietre che se non stai attento comandano loro lo sterzo, e non tu. È bellissimo. Per la prima volta mi sento perfettamente a mio agio su una moto fuoristrada, su un terreno accidentato. Non sono in ansia, non ho paura di cadere, ché poi anche se cado chissenefrega. Penso solo che mi sto divertendo un mondo. A un certo punto, mi ritrovo su un sentiero stretto, con delle cunette che sembrano studiate più per le bmx che per le moto, ma che invece sono increspature naturali del terreno. Le affronto senza appoggiare i piedi per terra tra prima, seconda e terza marcia, e poi giù per la discesa che è stretta anche quella, ma una volta fatta penso che non fosse poi tanto difficile.

Il ritorno è su tratti sterrati piuttosto veloci: 80, 90 all’ora. Non ho mai corso tanto fuori dall’asfalto e la mia immaginazione mi porta su un altopiano della Mauritania durante un rally africano: ancora un paio d’ore e arriveremo, e a quel punto ci rinfrancheremo con una zuppa di lenticchie e couscous prima di metterci al lavoro sulla messa a punto delle moto. Ma il sogno termina troppo presto perché di lì a poco siamo di ritorno a Grazzano: nessun camion di supporto, nessun bambino che ci guarda da bordo pista ma una magnifica struttura con tanto di spogliatoi, Le Officine della Repubblica, zona lavaggio pronta ad accogliere noi e le Husqvarna.

E anche se all’Università dell’Enduro ci sono andato per un giorno solo, sarò felice di tornare per qualche “seminario di approfondimento” e per recensire gli eventi dedicati al mondo delle moto fuoristrada che lì hanno luogo regolarmente. E, ça va sans dire, per bere una birra in ottima compagnia.

Pier Francesco Verlato

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Vuole essere il luogo dove trovi tutto: le moto, i tracciati, le persone, l’esperienza, i servizi, e naturalmente l’officina. La «casa» dell’Enduro.

Uno spazio affascinante, mutevole e accogliente, che avvicini le persone a questo sport. Dove l’appassionato possa praticarlo con semplicità. Dove il «pro» possa effettuare i test della propria moto nell’area «hard» del fettucciato. Dove chiunque possa imparare, proporre, chiacchierare e passare il proprio tempo. Guardando il forcellaio che lavora sulle sospensioni, pianificando la prossima avventura con gli amici, o programmando la preparazione della moto. Un nuovo concetto di officina che diventi spazio di intrattenimento e aggregazione. Un posto di eventi legati al mondo del motociclismo fuoristrada. Dove si possa respirare la storia dell’enduro, con le mostre/mercato temporanee e permanenti di moto d’epoca, e allo stesso tempo immaginare il futuro di questa disciplina ammirando gli esperti che si allenano nelle aree dedicate all’estremo.

Un luogo anche di servizi, che risolvano la maggior parte delle logistiche faticose annesse alla pratica sportiva dell’enduro, come il lavaggio moto, la manutenzione in casa ma anche semplicemente una doccia calda dopo un intenso allenamento. Il proprio armadietto personalizzato, il posto moto in affitto, e una bella birretta con salame a fine girata. Il «box» che ogni endurista ha sempre desiderato avere, con i servizi, l’esperienza, e la passione a portata di mano. Solo il bello dell’enduro.

Images courtesy Enduro Republic, Rust and Glory

 

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