Heavy-Duty. Pietro de Angelis di Biondo Endurance in conversazione con Andrea Vailetti e Pier Francesco Verlato

Nelle propaggini a nord di una Milano che esprime ancora la solida autenticità delle palazzine anni ’50, dei cavalcavia a filo delle abitazioni, delle scritte Martini e Rossi nei bar-tavola calda, c’è un cortile di cemento con i bimbi e i palloni, con i gatti sornioni e i panni stesi.

Al suo interno, il laboratorio dei sogni per tanti che, come noi, non vanno in moto con l’idea dello “sprint” e della “velocità” ma preferirebbero un viaggio lungo una vita, e per questa ragione amano l’affidabilità dei loro mezzi e la comodità dei loro capi tecnici. E, siccome la moto è piacere per gli occhi, anche la bellezza degli uni e degli altri.

Nel laboratorio dei sogni si osservano, si indossano, si acquistano le giacche, i pantaloni e i gilet di Biondo Endurance, al secolo Pietro de Angelis, designer-motociclista ma anche esteta e artista che ha fatto della solidità, della durata e della sobria eleganza i princìpi-cardine del suo brand. Un’azienda piccola, un one-man-show che polarizza una platea trasversale di appassionati. Scoprirete di più leggendo l’intervista.

Come sosteneva Coco Chanel, non è di moda ciò che va di moda ma – mi permetto di aggiungere –  ciò che endure, che resiste nel tempo, grazie a un design classico e a un’eccellente qualità.

– Pier Francesco Verlato

[Pier Francesco Verlato] Ciao Pietro, ciao Andrea. Una piccola premessa: io amo le persone molto più dei loro prodotti o dei loro progetti. Il customizer e la sua storia mi interessano di più delle moto che produce, e così l’artigiano, il restauratore, l’artista. Eppure, per arrivare all’uomo-customizer, al designer o all’artista, è necessario che io riesca ad apprezzare ciò che fa, come nel caso di Pietro che ho conosciuto grazie al suo brand, Biondo: un nome che, per tanti clienti e appassionati, significa i migliori capi d’abbigliamento tecnico per motociclisti presenti sul mercato. La stessa cosa vale per Andrea, di cui ammiro il lavoro di fotografo e art director, e l’attività di influencer di stile e motori (suoi il bellissimo account Instagram Mr Half e il supermantra Fuel is Not a Crime, oggi un bel sito e, a sua volta, un account Instagram) ma è il suo pensiero tout-court che mi interessa di più.

Pietro, partiamo da chi sei, e con questo intendo la tua infanzia, la tua formazione.

[Pietro de Angelis] Sono napoletano, figlio di medici. Ho un’estrazione borghese, comprese le aspettative di una famiglia di professionisti, e i miei primi anni di vita hanno significato sport, in particolare il canottaggio, l’amore per il mare e un trasporto ossessivo verso quella che per me era la vera capitale d’Italia: Milano. Ci sono arrivato a 18 anni nel 1981.

[PFV] La tua aspirazione era vivere a Milano?

[PDA] Sì, mia madre ci aveva vissuto a lungo prima di sposarsi. Avevo già visto Milano un paio di volte e mi era piaciuta molto. Mi piaceva la nebbia. Napoli e Milano hanno una loro vicinanza. Molti Milanesi apprezzano Napoli nonostante tutti i suoi problemi.

Da Napoli sono arrivato a Milano: con il terremoto molte classi furono esentate dalla leva e ne approfittai per anticipare i tempi. Venni a Milano per studiare all’università e, siccome mi piaceva disegnare, sono poi entrato nel mondo dell’abbigliamento.

[PFV] Che cosa studiavi a Milano?

[PDA] Medicina. Avrei voluto fare medicina ma non sono mai stato un bravo studente e ho mollato il colpo. Disegnavo però fino a tardi, di notte e in maniera ossessiva. Così ho cominciato a realizzare bozzetti di capi d’abbigliamento. Dagli inizi in fabbrica è stato un crescendo. Ho lavorato esclusivamente nell’abbigliamento da uomo e l’evoluzione è stata obbligatoria.

[PFV] Parliamo di moto: come entrano nella tua vita?

[PDA] Ho lavorato a Parigi per vari anni. Ebbi letteralmente una folgorazione quando, nel 1986 alla Bastille, vidi un ragazzo con un BMW R 60/2 che comprai subito dopo.

[PFV] Ce l’hai ancora?

[PDA] Purtroppo no, ho avuto parecchie moto e le ho vendute quasi tutte.

[PFV] Che cosa hai tenuto?

[PDA] Due BMW, un KTM e un Suzuki DRZ 400.

[PFV] E che BMW hai?

[PDA] Un 100/7 del 1977 e un GS 100.

[PFV] Moto da intenditori.

[PDA] Ma quelle che ho venduto erano più da intenditori: Norton Commando 850, un solo proprietario, Laverda SF, BMW HP2, KTM 950 Super Enduro, Harley Davidson Electra Glide prima serie del 1970, Triumph Trident, BSA Rocket 3…

[Andrea Vailetti] Più che dire “ho venduto”, dovresti dire “ho avuto”.

[PDA]. È stato un periodo glorioso, quando la moto non era un fenomeno di marketing.

[PFV] Quando andavi a Novegro e portavi a casa una moto da regolarità, e con 500.000 lire, o forse meno, cominciavi a divertirti nei boschi.

[PDA] Quando via Carducci a Milano che adesso fai solo a scendere, la facevi anche a salire.

[AV]] Senza andare così lontano, uno dei miei passaggi preferiti in moto era il Castello (Sforzesco, n.d.r.) con tutto il curvone che facevi quando prendevi la sequenza dei semafori verdi. Era così fino a meno di dieci anni fa, poi l’hanno chiuso.

[PDA] Ho avuto tante cose con cui mi sono divertito e che mi sono piaciute: una Guzzi Le Mans prima serie, rossa, bellissima. Non si può avere tutto, adesso ho altre cose di cui mi occupo e che mi appassionano ma non ho ancora smesso di comprare e di vendere moto!

[PFV] L’unica moto che io abbia mai avuto a Milano era una Vespa 125 Primavera che mi vendette un ragazzo che oggi fa l’artista, Luca di Maggio, per poco più di 1 milione di lire. Oggi farebbe ridere comprare una Vespa come quella per l’equivalente di 500 o anche di 1000 euro! Avevo paura che me la rubassero e, senza dire nulla al proprietario di casa, me la portavo in appartamento. Ricordo il fatto di girare per il centro senza problemi, senza restrizioni.

[PDA] Le strade erano meno dense, la vita di tutti i giorni era meno “densa”: non c’era la compressione che c’è oggi.

[PFV] Erano gli anni ’80 quando hai comprato il /2?

[PDA] Sì, era il 1986. Io sono del 1962, ero già grande.

[PFV] Eri ancora giovane per iniziare: avevi 24 anni

[PDA] Intendo dire che non sono uno di quei motociclisti che a sette anni sono già in sella e che a quindici anni già competono nei fettucciati. Con l’enduro ho cominciato tardi e i miei mentori sono stati Paolo Bergamaschi e Roberto Ungaro. Faccio enduro dal 2007, e posso dire che solo allora ho imparato a andare in moto. Da lì è nata l’idea, il concept, di Biondo.

[PFV] Dunque Paolo Bergamaschi c’entra con la genesi di Biondo?

[PDA] Paolo Bergamaschi c’entra nella misura in cui mi ha insegnato ad andare in moto fuoristrada. Poi, a un certo punto, mi prestava i capi che io trovavo comodi ma un po’ “esuberanti” a livello estetico. Decisi dunque di provare a fare qualcosa di più sobrio. Realizzai dunque la prima linea Biondo che contava quattro capi e Paolo Bergamaschi si prestò a farmi da testimonial per la campagna pubblicitaria. Era il 2013.

Biondo nasce dal fatto che mi divertissi come un matto ad andare in moto e che sentissi il bisogno di capi più sobri, forse eleganti che però è un parolone. I miei capi infatti sono blu, come la giacca blu da uomo.

[PFV] Come il classico blazer blu.

[PDA] Esatto, uno dei capi obbligatori in ogni guardaroba maschile. Adesso faccio anche altre cose ma tutti i miei capi comunicano solidità e sono tecnicamente inattaccabili. Per Biondo, io non faccio lo “stilista”; lo ero quando lavoravo per Prada, per Fendi, per Trussardi, per Valentino. Per Biondo faccio progettazione. Come il progetto di un’auto, che si compone del motore e degli altri elementi, della forma e dell’estetica (che comunque deriva dalla funzione che deve assolvere), allo stesso modo si sviluppa il progetto di un capo tecnico. Se tu chiedi a tuo figlio piccolo di disegnare un’automobile, il 90% delle creature disegna un Defender che è pura tecnica e l’estetica è figlia della funzionalità. Io faccio progettazione, metto sulle mie giacche l’etichetta con i dati tecnici, come quelle degli ascensori. Per sviluppare un capo mi servono due anni.

[PFV] Due anni?

[PDA] Ecco, per la t-shirt decisamente meno, ma quella giacca (la Biondo Endurance GB_009, n.d.r.) ha richiesto un anno e mezzo e forse più.

[AV] Poi arrivano quelli come me che ti stressano per averla e ti costringono a accelerare.

[PDA] Le mie giacche poi però non cambiano, o subiscono solo aggiornamenti minimi. Cerco di farle nel modo più intelligente possibile cosicché, se un cliente la compra, non debba più cambiarla. Nel tempo aggiungo un colore, una tasca o modifico una cerniera.

[AV] Le finiture possono cambiare però.

[PDA] Sì, ad esempio metto il velcro perché tutti vogliono i patch che si possono attaccare e staccare ma si tratta di modifiche che non interessano la funzionalità del capo che è già presente nel momento in cui decido di metterlo in vendita. Interessano poco anche l’estetica tanto che io non faccio le collezioni perché – ripeto – non sono uno stilista. Gli stessi stilisti ormai subiscono il mostro che hanno contribuito a creare gestendo minimo quattro collezioni all’anno, senza contare le pre-collezioni, le capsule, le collab e il resto. È un settore economico che gira a velocità folli per sostenere la filiera di fornitori che si è creata nel tempo. La mia filiera, viceversa, è molto corta, ed è costosa perché è italiana e sviluppa numeri molto piccoli.

[PFV] Qual è la differenza tra caro e costoso?

[PDA] I capi di Biondo sono costosi ma non cari. Il capitolato scelto (le parti di cui si compone il capo d’abbigliamento, n.d.r.) è curatissimo, oserei dire perfetto. I miei quantitativi sono piccoli per cui mi costa tutto di più. Se ordino 100 cerniere invece che 10.000, le mie 100 costano all’una più delle 10.000 che compra un’altra azienda. Io però scelgo le migliori sul mercato, così come i bottoni e i tessuti, solo italiani e inglesi. Alcuni fanno giacche in poliestere, e non solo i produttori di abbigliamento tecnico ma anche le case di moda. Io faccio giacche in Cordura® Invista, e le produco in Italia. Il mio capo è costoso perché tutti gli ingredienti sono costosi. È come paragonare il fast-food con la Fiorentina che non è cara: è costosa. Pensa che in dieci anni di vendite online non ho mai avuto una restituzione. Infatti, spendo parecchio per le immagini del sito. La gente deve capire dal sito che prodotto è. E se ci sono degli intoppi, come i clienti che tirano le cerniere come fossero delle fruste (infatti ora metto anche un’etichetta di warning) …

… [PFV] Infatti prima, quando mi sono provato il gilet mi hai detto “piano con la cerniera”!

[PDA] Sì perché ci sono delle piccole sbavature della produzione che si eliminano con l’uso, via via. E comunque, per principio, non è che uno debba andare veloce. Se si rompe la cerniera si può cambiare, però meglio evitare. In quel caso, non faccio nessun ricarico, ma giro il costo vivo al cliente. Cerco dunque di fare degli oggetti che durino nel tempo, a differenza della moda.

[PFV] Ti piace l’idea che un capo di abbigliamento possa durare per tutta la vita?

[PDA] Deve. Io ho scarpe che hanno venticinque anni. Ho molte scarpe che è anche un trucco per farle durare. È come un Rolex, che non è il migliore orologio del mondo ma è un classico. Se io vedo il Partenone e raccolgo qualche informazione, scopro che hanno impiegato nove anni per costruirlo ed è da trenta che tentano di restaurarlo. Pensate che il Partenone non ha una linea dritta.

[PFV] Come sarebbe a dire che non ha una linea dritta?

[PDA] Tutte le colonne sono storte. Di pochi gradi ma storte. In questo modo, le prospettive sono perfettamente dritte. Il legno che hanno trovato come anima delle colonne era perfettamente integro e ancora sapeva di legno. Non intendo essere così presuntuoso da dire che posso replicare l’opera di Fidia facendo giacche da moto, ma mi piace coglierne la filosofia di fondo e lavorare in quel senso. Chissà… Se Fidia fosse un designer!

[PFV] Quali sono le tue passioni? Qui vedo il kayak e la linea di Biondo dedicata al Kayak? Che cosa ti piace oltre alle moto e al kayak?

[PDA] La corsa fuori strada.

[PFV] Il trail runnning ?

[PDA] Sì, non sono uno specialista, sono molto alto dunque non sono naturalmente portato alla corsa. A me piace la durata. Quando ero piccolo, a nuoto, facevo fondo. Poi canottaggio, trail running… Ci sono amici – amici comuni a noi – che sono molto esperti e praticano il trail running a buoni livelli. Io mi limito ai miei giri in ogni condizione, con il sole, con il fango e la pioggia, e in ogni stagione.

[PFV] Lo pratichi regolarmente?

[PDA] Adesso no, a causa di un piccolo incidente, ma normalmente esco tre volte alla settimana, oltre al kayak. Alla mia età, cerco di tenermi attivo, mantengo un buon ritmo. Mi piacciono le attività a contatto con la natura.

[PFV] Dove pratichi il kayak nei dintorni di Milano?

[PDA] Sul Lario, ramo di Lecco, preferibilmente d’inverno.

[PFV] Anche a me piace l’endurance, compreso lo sci di fondo, lo sci d’alpinismo. Pratico anche il nuoto ma non sopporto la piscina. Se avessi il mare vicino nuoterei tutti i giorni, in ogni stagione dell’anno.

[PDA] Il trail running è perfetto per stare in natura, così come il kayak. Negli ultimi anni, è il rumore della moto a trattenermi dall’usarla spesso, in particolare in natura. A me piace molto andare in moto però, con l’avanzare dell’età, faccio fatica a sopportare il rumore e il comportamento di alcuni motociclisti che nelle cavalcate escono dai tracciati e rovinano i campi seminati.

[PFV] Hai portato a termine navigazioni lunghe in kayak?

[PDA] La navigazione più lunga che ho portato a termine è stata di 90 chilometri, dalle propaggini sud del Lago di Como fino a Piona, una specie di ansa del lago dove sembra di stare in Canada. Siamo partiti a mezzanotte e abbiamo finito alle 9 della sera successiva, con forti e bravi compagni d’avventura. C’è gente che col kayak fa di tutto.

[PFV] Come Alex Bellini che, non con il kayak ma con una barca a remi costruita da lui, ha attraversato entrambi gli oceani. E penso a quel Ross Edgley che ha circumnavigato la Gran Bretagna a nuoto. L’ho incontrato in un’occasione e non avevo mai visto nessuno con un fisico simile.

[PDA] Avrà cominciato giovane con il nuoto di fondo, con l’endurance. Prima cominci a fare una cosa e meglio è. E questo vale per tutto. Col senno di poi avrei dovuto cominciare prima molte cose.

[PFV] Col senno di poi, credo che tutti abbiano dei rimpianti. Io stesso a 43 anni mi dispiaccio di avere cominciato a fare ciò che amo di più solo di recente.

[PDA] Stai entrando nell’età d’oro dell’essere umano.

[PFV] Sì, se sai che cosa vuoi fare nella vita, verso che cosa indirizzare le tue energie. Se sei ancora lì alla ricerca – non è il mio caso o, meglio, non lo è più – può essere un’età difficile paradossalmente perché è “l’età di mezzo”: non sei più un ragazzo che può permettersi di sbagliare ma è invece l’età in cui dovresti concludere qualcosa.

[PDA] Tu quanti anni hai Andrea?

[AV] 43

[PFV] Come me.

[PDA] È l’età perfetta.

[AV] Io, ad esempio, sono salito in moto a tre anni e mezzo e non ho mai smesso. Vado in moto da quasi 40 anni e non ho mai fatto gare, non ho mai dovuto dimostrare niente a nessuno. Mi siedo sulla sella e va tutto bene. Anche il motorino in campagna… arrivo alla curva e torno indietro prima di sedermi a tavola con la mia famiglia. E sto bene. Mi fa stare bene. Eppure, anche se ho iniziato presto a andare in moto, ho capito solo dopo tanti anni una dimensione dell’essere motociclista che non conoscevo, anzi, che evitavo: ho cominciato tardi a fare viaggi in moto. Prima facevo solo enduro, prima ancora solo motoalpinismo. La passione si è evoluta.

[PDA] Diciamo che iniziare presto dà una buona opportunità di conoscere molto bene qualcosa, di specializzarsi.

[AV] E dona la confidenza che deriva dal conoscere molto bene qualcosa.

[PDA] Poi sei padre che non è un dettaglio.

[AV]  Sai che non ci penso?

[PFV] Però quando si pratica uno sport potenzialmente pericoloso, è qualcosa che bisogna tenere a mente.

[AV] Ma la moto non è uno sport pericoloso.

[PDA] Nessuno sport non è pericoloso.

[PFV] Diciamo che se giochi a tennis hai un po’ meno chances di farti male seriamente.

[PDA] Nessuno sport non è pericoloso. Ti puoi fare più o meno male. Anche con il trail running mi sono fatto parecchio male. Una volta, dopo una caduta, mi sono chiuso una ferita stringendo il calzino intorno al taglio. Mi hanno messo trenta punti.

[AV] Un mio caro amico, preparandosi per una gara importante di trail, è caduto in un dirupo e l’ha rischiata grossa.

[PFV] Comunque Andrea, mi riconosco in ciò che hai appena detto: anche solo prendere la moto per fare avanti-indietro in una stradina di campagna, prima di sedersi a cena o di aprirsi una birra, è gioia allo stato puro. Se un giorno, qualunque giorno, so che prendo la moto, ecco… per me quello è un giorno di qualità. Ancora oggi provo lo stesso livello di eccitazione di quando avevo 14 anni e inforcavo lo scooter per andare a scuola o per uscire a mangiare la pizza. Magari non proprio a quei livelli perché la vita avanza e ci sono altre priorità ma la felicità di fondo è sempre la stessa. Allora mi ripeto: “ora prendo la moto, faccio dieci chilometri, vado a bermi un caffè lungo il tragitto”. E mi sento subito bene, come se fosse un meccanismo automatico.

[PDA] Tu sei spesso in moto, vedo.

[PFV] Sì, ma meno di Andrea. Lui secondo me fa più strada però, sì, sono spesso in moto.

Un’altra domanda Pietro: hai passioni di natura culturale? Credo che la tua quotidianità riservi alcuni spazi alla dimensione intellettuale. Che cosa coltivi a quel livello?

[PDA] L’arte classica mi appassiona moltissimo. Mi interessa la scultura ma non solo: a me piace il bello in maniera assoluta e l’estetica. Sono molto legato all’estetica. Mi piacciono la musica classica e l’opera ma anche la musica moderna. Sono purtroppo un accumulatore, in senso quasi patologico. Amo cercare ciò che più mi piace e, quando approfondisco qualcosa di mio interesse, lo faccio solo per me. È proprio un piacere personale ricercare qualcosa fino a conoscerlo, acquisire informazioni di valore. Sarebbe bello avere frequenti occasioni di approfondimento, anche dal punto di vista sociale. Cercare interlocuzioni interessanti in cui uno impara ma anche l’altro. Però è difficile.

[PFV] Perché è difficile?

[PDA] Perché siamo in un secolo di profondo narcisismo e la rivoluzione digitale ha reso tutti più narcisi. Non ci si telefona più, si parla solo attraverso messaggi. Apro una parentesi ovvia: è difficile avere una bella interlocuzione con qualcuno. La bellezza è quando tu riesci a imparare qualcosa dalla persona con cui parli, o quando ti fa vivere in differita un’esperienza come quella di Andrea e del suo recente viaggio in Marocco: il suo racconto dei momenti più leggeri o anche di quelli più difficili è gioia per me che ascolto. Mi viene in mente la radio, e il fatto che dovremmo abituarci a parlare con gli altri come se ascoltassimo la radio. Se uno parla, tu stai zitto e ascolti. Poi diventi una radio a tua volta e allora il tuo obiettivo è quello di trasmettere, di condividere, e devi farlo bene.

[PFV] Più che altro, il male che affligge tante persone, da sempre ma forse più diffuso negli ultimi tempi per i social e il conseguente narcisismo, è anche il fatto che la gente non sappia ascoltare. Me ne accorgo parlando con le persone e, mentre parlo, le guardo negli occhi. Dagli occhi capisco che queste persone non mi stanno ascoltando ma stanno pensando a ciò che mi devono dire quando avrò finito di parlare. È un non-dialogo. E se entrambi pongono in atto questo comportamento, diventa quasi una commedia: una conversazione tra sordi.

[PDA] Mi nonna diceva: “Ascoltare fa parte della conversazione”. Se tu ascolti vuol dire che stai conversando. Se no fai come quelli che esordiscono dicendo: “come stai?”. E tu: “bene, anche se ho avuto qualche problema sul lavoro, o un acciacco di salute”. E loro “Ah, anch’io sapessi…”. Allora… ti puoi risparmiare la fatica di chiedermi come sto perché, se mi vuoi raccontare i tuoi problemi, non chiedermi dei miei prima. Vai dritto al punto, dimmeli e basta. Vabbè, questo c’entra poco con Biondo. Biondo è divertente!

[PFV] Ma sai, Pietro, a me Biondo interessa fino a un certo punto. A me interessa Pietro De Angelis.

[PDA] Eh ma Pietro è Biondo eh!

[PFV] Ma perché Biondo si chiama Biondo?

[PDA] Questo me lo chiedono in tanti perché la credenza più diffusa è che io fossi biondo da giovane. In realtà Biondo è il modo con cui al sud – io sono di Napoli ma la mia famiglia paterna è del Cilento – chiamano il motorista esperto di barche, anche se è moro. “O Biondo!”, che è come dire: “Venite avanti dottò!”. È un modo di dire e mi divertiva il fatto di pensare a “O biondo” come a un meccanico. Da lì il nome: poche lettere, rotonde, che in qualsiasi lingua suonano allo stesso modo, anche in giapponese o in francese.

[PFV] Hai disegnato tu il logo?

[PDA] Sì. Il logo è semplice.

[AV]  Il logo è perfetto!

[PDA] La B che è un 3 e i colori, pastello e densi, fuggono dai confini immaginari della B.

Pietro scopre l’insegna del negozio di Milano, chiuso molto tempo fa, da dietro a una grande tenda di flanella Vitale Barberis Canonico.

[PDA] Questa ce l’avevo per il negozio.

[PFV] È favolosa!

[AV]  Però la tieni nascosta.

[PDA] La tenda funge anche da sfondo per le foto, quando c’è una nuova campagna di comunicazione da realizzare.

[AV] Comunque un sacco di gente pensa che la patch della mia giacca non sia la marca, ma che me la sia fatta fare apposta.

[PDA] Ah perché tu sei biondo!

[AV] Sì, infatti è un commento che arriva perlopiù da non-motociclisti di genere femminile.

[PDA] Chissà che ti dicono quando metti la maglietta! (La t-shirt ospita il logo Biondo in forma estesa, su tutta la parte frontale, n.d.r.).

[PFV] Pensate che io conosco Biondo come brand dai vecchi numeri di Riders, dai video di Paolo Bergamaschi, ma l’avevo riposto lì, nel retro della mia mente, fino a quando Regis (Regis Guyot, n.d.r.), la scorsa estate a San Sebastian, mi ha chiesto di scattargli una foto con la t-shirt di Biondo.

[PDA] È bella quella foto!

[PFV] La fortuna dei principianti. È Regis che è super fotogenico.

[PDA] Eh ma se l’era messa bene la t-shirt, risvoltandosi le maniche.

[PFV] Davvero, molto curato. La foto è buona perché il personaggio è giusto. Da allora mi è venuto il desiderio di approfondire Biondo fino a che, eccoci qua, seduti oggi insieme.

[AV] Noi (Andrea e Pier, n.d.r.)  ci siamo conosciuti a settembre, e io avevo addosso un gilet di Biondo.

[PFV] Corretto. Ci siamo conosciuti davanti allo stand di Formula Iozzi al Wheels and Waves Italia, e allora siamo andati a cena a Pietrasanta tutti insieme. Una serata lunga e ricca di passione. Di passioni comuni a noi tutti. C’era Regis, ma anche Beppe Carucci di South Garage, Federico Iozzi, Paolo Pitossi di Petrô Classic.

[PDA] Ma allora tu non conoscevi Biondo fino a pochi mesi fa? Non è grave, eh (in realtà, lascia intendere che lo sia, n.d.r.).

[PFV] La realtà è che le cose nuove io non è che non le guardi, neanche le vedo.

[PDA] Qual è la differenza?

[PFV] Sono così focalizzato sul vintage che le novità mi scorrono davanti agli occhi e non mi interessano minimamente. Non le vedo nemmeno. Per me la giacca da moto è il Barbour international, o il Trialmaster di Belstaff, pre-anni-2000 però.

[PDA] Che roba è? Non le conosco (sottile ironia di matrice anglo-partenopea, n.d.r.).

[PFV] Da quando però ho cominciato prima a vedere, poi a guardare, e poi a osservare attentamente Biondo, ecco, da quando mi sono interessato a Biondo, il tuo marchio mi è saltato sempre più agli occhi. Ora è quasi un’ossessione.

[PDA] Il trucco è che io faccio capi d’abbigliamento classici. Classico è qualcosa che è lì da sempre, come il Partenone, e che più di tanto non può cambiare. Non amo la parola “vintage”. Io faccio un prodotto moderno ma allo stesso tempo classico, e tutti i miei clienti di fatto hanno uno stile classico. Possono avere una moto nuova, o una moto storica, e sono tutte persone oltre i 35 anni che, anche quando vanno in moto, vogliono essere sobrie ed eleganti.

[AV]  Di questo, Pietro ed io abbiamo parlato altre volte. Non esiste un cliente-tipo di Biondo ma c’è qualcosa che unisce tutti. Possono essere persone che nei giorni normali si vestono in maniera diversa ma c’è qualcosa che li accomuna. Prendi ad esempio Giuseppe (un amico comune a Pietro e Andrea, n.d.r.): vive in Inghilterra, lavora in finanza e lo trovi all’Erzberg Rodeo con la HP2.

[PDA] È un personaggio piuttosto eclettico.

[AV] Ha una Land Series 1 e vive in campagna, nonostante lavori nel cuore di Londra. Pensa che tornando dal Marocco, nell’ultima tranche di viaggio da Gibilterra a Milano, per cui già in Italia, me lo ritrovo sulla A7 che mi saluta, dopo aver visto che indossavo una giacca Biondo. Un cenno quasi di compassione, di condivisione perché era appena terminato il diluvio universale. Come ci guardiamo negli occhi, ci riconosciamo perché ci eravamo già incontrati altre volte, ed è stata una coincidenza incredibile, perché lui vive a Londra e io non torno dal Marocco tutti i giorni. Ecco, Biondo è come se fosse un club ma non lo è. È il fil-rouge che accomuna chi apprezza il lavoro di Pietro.

[PDA] Ci sono dei clienti che sono più affezionati e più affettuosi. Andrea, Giuseppe, i Flying Pigeons e altri.

[AV]  Anche i Flying Pigeons sono molto eleganti.

[PDA] Sono dei “classiconi”.

[PFV] Che moto hanno di solito?

[AV]  Tanti BMW, tanti GS 2 valvole. Alcuni, come Marco Noseda, hanno il seconda serie nero e giallo.

[PDA] La cosa assurda è che tantissimi BMW GS seconda serie neri e gialli sono targati Piacenza. Evidentemente a Piacenza c’era un dealer che ne vendeva parecchie.

[PFV] Di recente, BMW ha fatto il 1250 GS del quarantesimo con le stesse colorazioni.

[PDA] Mi fermo ai GS a carburatori, delle successive so poco.

[AV] Marco usa quella moto per tutto: fuoristrada, ufficio, viaggi.

Pietro ci illustra il gilet dei membri Flying Pigeons.

[PDA] L’etichetta Biondo è qua sotto (sul fianco sinistro, n.d.r.) perché, durante la guerra, era dove i soldati si tatuavano il gruppo sanguigno. Si trattava di un punto che difficilmente veniva colpito dalle armi da fuoco. Memore di questo, metto l’etichetta del brand qui.

[PFV] Da che cosa deriva…. (Pietro non lo lascia finire, n.d.r.)

[PDA] Senti ma poi tu sintetizzi tutto quello che stiamo dicendo?

[PFV] No, di solito allungo. Vengono fuori delle interviste lunghissime.

[PDA] Le famose mille battute?

[PFV] Bastassero mille battute! (A questo punto dell’intervista, sono già circa 20.000). L’intervista a Simon Giuliani di Candiani Denim sono circa 6.000 parole.

[PDA] Candiani jeans ha parecchio da dire.

[PFV] I concetti come “Heavy-Duty” e la” Crude Oil Series” che hai pubblicato su Instagram che cosa significano?

[PDA] Rappresentano la sostanza. Se non ho qualcosa di sostanza da dire, preferisco tacere. Quando devo dire qualcosa ci metto parecchio tempo a delinearne la storia. Io non sono da Instagram. Non racconto la quotidianità o l’immediatezza. Devo creare una galleria che abbia un senso. Se guardi il feed nel suo complesso allora capisci il significato dei singoli post. Mi piace la sostanza, il peso, la consistenza. Heavy duty è qualcosa che ha un elevato peso specifico. Per esempio, avevo un HP2, bellissima moto, con un ammortizzatore Continental ad aria. Ho fatto fuori il primo, poi un altro. Poi ho montato il “mollone” della Ohlins. La meccanica è sostanza, è peso. Gli ammortizzatori ad aria prima o poi ti lasciano a piedi, i “molloni” sono quelli che funzionano. Un cliente, un paio d’anni fa, si lamentò che la GB_009 (una giacca di Biondo, n.d.r.) fosse troppo calda. D’estate, una giacca del genere è per forza calda, soprattutto se sotto hai una t-shirt, che lascia la pelle delle braccia a contatto con il sintetico. Però se tu vuoi andare in moto, devi essere protetto. Punto.

Un altro cliente mi ha comprato una giacca, è caduto, l’ha rovinata ma è tornato a casa sano. Poi la giacca l’abbiamo messa a posto. La progettazione è fondamentale, così come la consistenza. Se progetti qualcosa che è funzionale, l’estetica va a posto da sé. Il peso del tessuto evita che tu ti faccia male. Infatti, nel sito internet specifico quanto pesano i tessuti. Il tessuto del gilet, ad esempio, pesa 600 grammi.

[PFV] Il gilet non va contro i canoni di sicurezza?

[PDA] Se fa caldo metti il gilet e hai la protezione dietro. Chiaro che le braccia non sono protette, ma la colonna vertebrale lo è. Quando vede gente in t-shirt, sandali o Converse e pantaloni corti, magari in autostrada, sgrano gli occhi perché penso di non crederci. Se vuoi andare in moto e sei veramente un motociclista, devi essere protetto.

[PFV] Il tuo obiettivo numero 1 è la funzionalità, poi l’estetica viene di conseguenza. Però è una conseguenza per Pietro, dato che sei stato uno stilista e sei un uomo con uno spiccato senso estetico. Tante volte, le altre aziende si fermano alla funzionalità.

[AV]  Parliamo dei 4/5 dei produttori di abbigliamento da moto.

[PFV] Anche dei 9/10.

[PDA] Sì ma la gente vuole quell’estetica lì, un po’ “da Marziano”.

[PFV] Sì ma non è estetica secondo i nostri canoni.

[AV] Dipende dal tuo background culturale associato al mondo delle moto.

[PDA] Il modo di vestire di ciascuno di noi, e mi riferisco all’abbigliamento di tutti i giorni, si basa su una selezione. Ad esempio, l’estetica di Andrea, lo porterebbe verso il blu e il bianco.

[PFV] Andrea è minimalista.

[AV]  Io sono difficile!

[PDA] La tua Husqvarna è coerente a come sei vestito oggi: molto design senza strafare.

[PFV] L’Husqvarna, Andrea, è forse l’unica moto moderna in cui ti puoi veramente ritrovare.

[AV]  Ce n’era un altra, ed è la Ducati Desert X. La Norden è molto rara e alcuni dettagli come il faro tondo mi hanno preso tantissimo.

[PFV] A me invece piacciono le cose imperfette. Raffazzonate quasi. L’altro giorno ho portato la Giallona (l’R 80 G/S, n.d.r.) a far mettere a posto. Il meccanico ha trattenuto il serbatoio e me ne ha prestato uno bianco, non originale, dipinto a mano. Ecco, a me la moto gialla col serbatoio bianco, posticcio, piace tantissimo! Poi, mi stancherei nell’arco di un mese, però intanto mi piace!

[PDA] Ti piace l’accozzaglia di elementi.

[PFV] Sì, hai trovato la parola giusta. Mi piacciono le stratificazioni, gli accrocchi.

[AV] Un altro a cui piacciono gli strati e le personalizzazioni è Andrea (Chiaravalli, Motobast su Instagram, n.d.r.). La sua G/S ne è la dimostrazione. Di altre moto che ha avuto, creava il “negativo”, invertendo il colore dello sfondo e delle scritte del serbatoio.

[PDA] Andrea è un artista. Pier, tu lo conosci?

[PFV] Ci siamo incontrati una volta ed è stata una bella chiacchierata. A differenza di Biondo, però, ho sempre saputo chi fosse e lo seguo su Instagram dai tempi di In serbatoio veritas, la sua rubrica su Riders.

[PDA] C’è questo libro (Pietro illustra Spare Parts, edito da Circular Press) a cui ho contribuito ai temi di Riders. Riassume gli oggetti ideali da possedere nel corso di una vita, siano essi capi di abbigliamento, auto o moto. Per quanto riguarda l’abbigliamento, ogni capo illustrato nel libro è essenziale per l’essere umano di sesso maschile, dal peacoat al pantalone di Positano, alla giacca di seersucker, al cappotto blu con il gilet di lana cotta, alla giacca per l’alta visibilità e al resto. Si tratta di una rappresentazione del mio lavoro. Alla fine del libro ci sono tre oggetti che restano, per me, i tre desideri più essenziali: la Norton Commando, il Mercedes Zetros, il Land Rover Defender. Lo Zetros è favoloso: viene costruito per gli eserciti, per i governi. Puoi vendere tutto, comprarlo, costruire una cellula abitativa e il mondo è tuo!

[AV] Nei porti del mondo si vedono tanti di questi mezzi, come nell’ultimo viaggio in Marocco: Unimog, IVECO 4×4, Bremach, quest’ultimo di una coppia tra i 75 e gli 80 anni d’età.

[PDA] Tu sei la seconda persona che viene qui a fare, diciamo, una chiacchierata finalizzata alla pubblicazione di un’intervista. Il primo fu Paolo Sormani che venne per un articolo su GQ quando il direttore era Michele Lupi.

[AV] Non era per Rolling Stone?

[PFV] No, Michele Lupi era direttore di Rolling Stone quando io ancora andavo all’università.

[PDA] Fu dopo Rolling Stone. Pier, tu lo conosci Michele?

[PFV] L’ho conosciuto e vorrei conoscerlo meglio perché mi appassiona la sua storia di giornalista, manager, appassionato di mezzi storici.

[PDA] Lui e alcuni suoi amici stanno prendendo in mano un’edicola a Lambrate per farne un bel progetto culturale. È una persona molto strutturata, con un forte spessore culturale e grandi competenze comunicative.

[PFV] Sta lavorando molto bene con il progetto Fay Archive che è diventato un benchmark del mondo degli archivi vintage, delle reinterpretazioni, della circolarità dei materiali, come nel caso dei tessuti realizzati a partire dalle vele nel deposito di Resìna (Ercolano, n.d.r.).

[AV] I capi sono molto belli e hanno una vestibilità moderna, rilassata e pur elegante. Come nel caso di Regis a cui i capi di Fay Archive stanno benissimo.

[PDA] Hanno un brand molto forte. Ricordo nei primi anni ’90 i quattro ganci dei professionisti milanesi, con l’etichetta Fay – EMA ben in vista. Hanno segnato un’epoca, come l’Henry Lloyd, rigorosamente blu all’esterno e arancio all’interno.

[AV] Certo, chi oggi cerca un capo con struttura perché, per andare in moto, ha bisogno di proteggersi, deve cercare qualcos’altro. Con una giacca di Biondo sono stato in moto a -3° sull’Atlante, e non ho sofferto il freddo.

[PDA] E se togli la termica interna, puoi usarla anche d’estate.

[AV] Oggi l’heritage funziona. Produrre capi dal design classico fa la fortuna di certi brand, così come richiamare la storia e le origini. Biondo, pur essendo un marchio recente, ha l’heritage nel DNA, rimanendo tecnicamente ineccepibile, come abbiamo appena detto.

[PFV] Ci sono auto che continuano a essere uguali a sé stesse. Pensiamo alla Mercedes Classe G.

[AV] Un’auto favolosa la cui immagine è stata, agli occhi di alcuni appassionati, rovinata dal fatto che sia diventata la macchina dei rapper, di alcuni influencer. Peccato, perché è un’auto di sostanza, e sta invece diventando un simbolo del narcisismo imperante.

[PFV] Secondo me la Classe G finisce con la versione di una decina d’anni fa, la Professional (Pietro e Pier pronunciano la parola “professional” allo stesso momento, n.d.r.).

[PDA] Un sogno, con i fori per lo scolo dell’acqua.

[PFV] Rappresenta la mia massima aspirazione. Un tempo era la Porsche 911, ora la Classe G Professional, anno 2008 o 2009.

[AV] A me piace molto l’ultima serie, la 500 V8 non AMG.

[PDA] La vera Classe G però è tagliata con l’accetta.

[AV] Invece a me piacciono le ultime perché le hanno leggermente stondate, ingentilite. Quando ne parlo con altri, il desiderio di tutti è l’AMG. No, non ha senso. La V8 è già il massimo a cui aspirare, senza uscire dai limiti del buon senso, che in questo caso è anche il buon gusto.

[PFV] Pensa che il mio meccanico mi ha proposto 4 cerchioni in lega per il Defender di mia moglie. Gli ho risposto di no, che quelli bianchi, di ferro, sono perfetti. Sulla mia Range Rover vanno bene i suoi originali, in lega. La Range Rover nasce come primo suv di lusso e quelli sono i suoi cerchioni. Anche rispettare l’originalità di un mezzo ha il suo perché. Poi, puoi metterci un tocco personale ma l’originalità – senza che però diventi un’ossessione – ha il suo valore.

[AV]  Come nel caso della Porsche 911 – 964: tutti montavano i cerchioni e gli specchietti della Cup, prodotta solo negli ultimi anni. Sulla mia, che è una delle prime 600, li ho tenuti originali. L’auto ha un suo senso, una sua armonia anche con riferimento all’epoca in cui è stata concepita. Gli altri cerchioni e specchietti sono venuti dopo: con la Cup, hanno allargato un po’ le carreggiate ed ecco che i nuovi cerchi e specchietti si integrano meglio nel design.

[PDA] Guarda, questo è il mio Defender Td5, Crew Cab 130 (ecco, sul cellulare, la foto di un Defender favoloso e… lunghissimo, n.d.r.).

[PFV] Heavy duty vero.

[PDA] Sempre e solo… heavy duty!

Sito internet Biondo Endurance: https://www.biondoendurance.com/

Sito internet Fuel is Not a Crime: https://www.fuelisnotacrime.com/

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