Royal Enfield Continental GT. La moto post-etnica

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Chiusi dieci giorni di test in sella a una sgargiante Royal Enfield Continental GT mi sento pronto per spararla grossa. È una moto post-etnica.

Lo so, è forte. Proverò a spiegarlo partendo dalla storia del marchio che in Italia non sono in tanti a conoscere davvero.

“Made like a gun, goes like a bullet” – questo è il motto di Royal Enfield (nata Enfield Manufacturing), una delle case motociclistiche più vecchie al mondo. Nasce e prospera inglese purosangue, nei primi del novecento. Si fa le due guerre (per questo si aggiudica il titolo di “Royal”) e nel bel mezzo – siamo nel 1932 – sforna il “cannone” a due ruote più longevo di sempre: la Bullet, la tartarugona monocilindrica che sopravviverà nel corso delle decadi a tutte le rivoluzioni possibili: di mercato, di costumi, di potere. Ma torniamo agli anni trenta. La casa britannica fa affari e viaggia bene, esportando le sue motociclette in numerose parti del mondo, compresi Stati Uniti e India.

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Colonialismo al contrario – Nel 1952, l’Esercito Indiano ordina 800 Bullet da 350cc, una commessa enorme per l’epoca. Royal Enfield coglie la palla al balzo e tre anni più tardi, nel 1955, fonda la Enfield India con tanto di stabilimento produttivo pronto a lanciare sul mercato indiano quante più motociclette possibili. Prosperità e ottimi auspici per la casa britannica. Poi arrivano i Beatles, gli Stones e le motociclette giapponesi e cambia tutto. Le case produttrici europee incassano le cannonate e molte chiudono i battenti. Royal Enfield è una di queste. Ma a sopravvivere sono le Bullet “indianine” che tengono botta tanto bene che, alla fine degli anni 70, Royal Enfield India ha la forza addirittura di rilanciare le Bullet sul mercato europeo. Colonialismo al contrario, dicevo.

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Il passo in avanti  – Nel 1994, mentre in Italia Silvio Berlusconi decide “scendere in campo”, in India, la holding Eicher annuncia l’acquisizione di Royal Enfield con l’obiettivo di mettere il turbo. Che cosa accade? Beh, in un ventennio pieno di aggiustamenti, errori e scelte azzeccate, le motociclette fanno un bel salto di qualità tanto che a marzo 2016 – come recita il bilancio della holding – le moto “indianine” vendute nel mondo si sono raddoppiate, passando da 302.592 vendute nel 2014 a oltre 600.000 nel marzo 2016. In un solo anno fiscale il fatturato è saltato dai 462 milioni di euro (2014-15) ai 761 milioni (2015-16). La previsione del Ceo di Eicher è quella di arrivare a produrre 900.000 unità nel 2018-19. Un bel turbo. L’azienda va forte e gli ultimi due modelli presentati – la Continental GT nel 2013 e l’Himalayan in mostra quest’anno a Eicma 2016 – segnano vero e proprio passo in avanti del marchio.

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Le motociclette post-etniche – Quando si dice “post-etnico” a Milano ci si riferisce da un po’ di tempo ai ristoranti etnici (cinese, giapponese, indiano, eritreo etc) ma in versione 2.0, pienamente integrati con la città e assolutamente di moda. Sono i ristoranti fusion con qualcosa in più. Vi faccio un esempio milanese: il Blue Ginger, ristorante cinese con menu fusion (italiano, thai, cinese, giappo) dall’arredamento ultra-moderno che celebra la fusione tra oriente e occidente. Ecco, la Continental GT, è un po’ così.

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Continental GT – la post-etnica –  Livrea e nome sono eredità della prima Royal Enfield Continental GT lanciata nel 1965, gli anni delle vere cafe racer. L’edizione del 2013 è indiana di nascita ma con diverse note etniche molto alla moda: il telaio a doppia culla in tubi d’acciaio progettato ad hoc dallo specialista inglese Harris (nel frattempo acquisito da dal marchio indiano), gli ammortizzatori posteriori Paioli, il freno a disco anteriore Brembo da 300 mm e le gomme Sport Demon Pirelli: un gran bel tocco di italianità. Ma a dire la verità, la versione lanciata come prototipo nel 2012 in India presentava semi-manubri (cromati) e scarichi (cono-contro cono) decisamente più accattivanti di quelli attuali.

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“Made like a bullet, goes like gun” – La Continental GT è la Royal Enfield di serie più leggera e veloce di sempre. Il motore 535cc – derivato dalla Bullet – eroga 29,1 cavalli e lanciato a cannone sul dritto, mento sul serbatoio, non va oltre i 140 km/h. Non è una scheggia, ma non ha velleità di esserlo. In mezzo al traffico, sul pavé o sui marciapiedi, è agile, maneggevole e ben bilanciata. Ma il vero punto di forza di questa nuova indiana è la quasi assenza di vibrazioni fino ai 4.000 giri. Intendiamoci, non la stiamo paragonando agli ultimi modelli ultra-tecnologici giapponesi ma alle moto vintage e modern classic attualmente sul mercato. La Enfield non racconta bugie e, nonostante sia spesso presa in giro, soprattutto qui da noi in Italia, dimostra che è possibile disegnare una moto dall’estetica nostalgica e autentica anche senza inventarsi carburatori finti. Le prestazioni dei freni sono ottime per la taglia della piccola Royal, soprattutto se siete abituati a moto di altri tempi. Consuma davvero poco, con 5 euro si possono percorrere tranquillamente 60-65 chilometri. Affidabilità? Dieci giorni sono troppo pochi per esprimere un giudizio pieno, quello che è certo è che in oltre 350 chilometri per la maggior parte percorsi sotto pioggia battente, freddo e umidità, la Continental GT è stata una vera signora, non si è mai lamentata. Avviamento elettrico affidabile: a freddo è sempre partita in meno di 3 colpi. Rossa come il rossetto di una diva, fa la sua scena. Uscita dalla fabbrica, le manca solo uno scarico degno degli anni sessanta ai quali si ispira. Il prezzo consigliato al pubblico è di 5.790 euro, direi assolutamente competitivo considerato il mercato di riferimento.

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Do the Ton” – La Continental GT è una prima zampata interessante che l’indiana Royal Enfield sta dando al mercato mondiale delle motociclette. Nel 2014, con il preparatore Matt Capri, la Royal (cupolinata da paura) si è lanciata sul lago di sale di Bonneville Speedway (Utah) e, con in sella la piccola Nadine De Freitas, ha sfiorato i 100 mph e raggiungendo i 156,3 km/h. Manca davvero poco al “Do the Ton”.

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– testi di Marco Latorre, immagini di Royal Enfield e Marco Latorre –

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