Patagonia: un photo-essay e qualche considerazione pro-pianeta

“La Patagonia! È un’amante difficile. Lancia il suo incantesimo. Un’ammaliatrice! Ti stringe nelle sue braccia e non ti lascia più.”

Bruce Chatwin, In Patagonia

Il viaggio

Chatwin l’aveva capito: la Patagonia ti abbraccia, ti strega, ti entra dentro. La diversità della Natura alla fine del mondo è invadente, quasi ossessiva. La civiltà si intravede, di tanto in tanto, nelle sporadiche cittadine di questa vastissima regione ma si avrebbe voglia di fuggirne, di lasciarsela alle spalle nel viaggio verso l’infinito. La Natura, questo è il centro di tutto, la Terra che ci nutre e ci dà la possibilità di prosperare e che ultimamente sembra volersi scrollare di dosso un’umanità avida, inquieta e fastidiosa come l’orticaria.

Non tutti coloro che vagano si perdono

Se ci si sente esploratori, vagabondi, curiosi, la Patagonia è da vivere almeno una volta. Non importa se si ha famiglia e un lavoro full-time. Se si è il CEO di una multinazionale o un avventuriero con i calzoni rappezzati. In Patagonia si è tutti uguali, importanti come l’altezza dei picchi del Cerro Torre e del Cerro Fitz Roy, o terra terra come le gelide spiagge della Terra del Fuoco. È la Natura stessa, con tutta la sua prepotenza, a definire i suoi visitatori: è lo sferzante vento patagonico che modifica i lineamenti del viso e distrugge le portiere delle automobili, è il trekking con pendenze del 45% sulle montagne del Parco Los Glaciares, o il surf con la muta da 7 millimetri nelle acque del Canale di Beagle.

I luoghi della vita

Tutto è bellezza alla fine del mondo: dalla flora subantartica della Terra del Fuoco ai deserti ambrati della provincia di Santa Cruz, dalle pinguineras di Punta Tombo ai laghi lattiginosi nei pressi di El Calafate. È il ghiacciaio più famoso al mondo però, il Perito Moreno (dal nome del famoso esploratore), a rappresentare la vera esperienza patagonica, quella narrata da Chatwin nella sua prosa tra il mistico e il filosofico. Manca il fiato anche solo a ricordarselo quel ghiacciaio: vivo e potente, in continuo movimento, si esibisce e parla con il suo pubblico, gli ingenui turisti increduli al suo cospetto. A piccoli pezzi si inabissa per poi riformarsi più potente nelle retrovie, verso la montagna. Della zona dei ghiacciai fanno parte anche le vette più famose del Sudamerica: il Cerro Torre e il Cerro Fitz Roy. Splendide, dolomitiche e perennemente ghiacciate hanno rappresentato un terreno di sfida per molti alpinisti straordinari, da Maestri, a Bonatti, a Chouinard. Ai loro piedi giace la cittadina più giovane del mondo, El Chaltén, trent’anni d’esistenza e un’età media dei suoi abitanti forse più bassa. Da quelle parti, le feste si fanno per la strada, fino alla mezzanotte (l’ora in cui cala il sole in Estate), con lo zaino già pronto per il trekking o l’arrampicata dell’indomani. L’aria fine e fresca si mescola al profumo della birra appena spillata. L’inglese, la lingua franca degli avventurieri, esplode nei suoi mille accenti diversi.

Disabitata, e per questo ricca

La carne è squisita in Patagonia: l’agnello è ovunque, anche nei tramezzini e gli scrupoli etici dei turisti svaniscono al primo boccone. Forse la Patagonia, una terra lunga 5 volte l’Italia e popolata da 2,5 milioni di persone, è il posto giusto per mangiare la carne: gli animali sono tantissimi, la maggior parte allo stato brado. Per procurarsi il cibo basta aprire la finestra e sparare. Per giunta, una comodità incredibile, salvo dovere poi uscire di casa per recuperare la carcassa. La carne, dunque, è perfettamente sostenibile. In Patagonia. Ma se non ci si trova da quelle parti, vale la pena tenere a mente qualche dato: al mondo ci sono 1,4 miliardi di persone sovrappeso e sono 800 milioni coloro che soffrono la fame. Sul banco degli imputati c’è la carne e le coltivazioni intensive necessarie a sfamare gli animali negli allevamenti. Basterebbe destinare una frazione di quelle coltivazioni all’alimentazione umana e ci sarebbe da mangiare per tutti (fonte: Cowspiracy). Come si sa, i gas serra sono la principale causa del riscaldamento globale. Ebbene, quelli prodotti dagli allevamenti sono superiori a quelli del traffico su strada, aereo e navale messo insieme. In Patagonia c’è quella giusta; a casa, però, pensiamoci.

Il contatto con la Natura

In Argentina, quando si va in montagna, si rispettano il bosco, i sentieri, gli animali. Nei parchi nazionali lo comunicano a gran voce, lo scrivono sulle decine di cartelli disseminati lungo i sentieri. È l’uomo l’ospite – non gli animali e gli insetti – e come tale deve comportarsi. Dunque, portare a casa l’immondizia (tutta), camminare lungo i sentieri, non condurre cani che potrebbero disturbare la fauna locale. Rispetto per l’ambiente naturale per lasciarlo il più intatto possibile. Qualunque buon osservatore e amante della montagna proverà un certo rammarico pensando alle migliaia di mulattiere, vie ferrate, vie di alta montagna italiane lungo le quali si trova di tutto, dai fazzoletti sporchi agli scarti delle barrette, dalle bottigliette di plastica alla carta di alluminio per i panini. Il Club Alpino Italiano (CAI) con i suoi trecentomila iscritti e la Guardia Forestale non riescono a comunicare e far rispettare delle regole di buon comportamento negli ambienti naturali. Forse sarebbe il caso che i vertici delle nostre organizzazioni facessero un viaggio all’estero.

Conservación Patagónica

Ho avuto la fortuna di visitare Valle Chacabuco, in Cile, uno dei numerosi parchi della Tompkins Conservation, l’organizzazione attraverso la quale Douglas e Kristine Tompkins hanno dedicato tutta la loro vita al ripristino degli ambienti naturali. Valle Chacabuco, ora ceduta al governo Cileno per la costituzione del Parque Patagonia, è un’ex-estancia (le gigantesche proprietà agricole sudamericane) di 170.000 acri, destinata alla cura, alla reintroduzione e alla gestione di specie animali quali guanaco, puma, armadillo e gatto selvatico, e di innumerevoli specie vegetali fondamentali per l’ecosistema. Gli orti e le serre destinati alla produzione di frutta e verdura biologica sono l’ultimo, necessario complemento di un luogo orientato alla massima sostenibilità e al rispetto per l’ambiente. L’imprenditore privato, fondatore di The North Face e Esprit, e la moglie ex-CEO di Patagonia (il produttore di vestiti per lo sport) hanno destinato tutto ciò in loro possesso alla conservazione degli ambienti naturali, perché “questi parchi sono il nostro vero lavoro, non le catene di negozi che abbiamo creato per vendere alla gente vestiti di cui non ha bisogno”.

Photo Credits: Pier Francesco Verlato

 

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