Era il 2012 quando uno sparuto gruppo di ragazzi leoniceni, alla vigilia della Merla, decise di inforcare biciclette dimenticate da trent’anni in fienile e di lanciarsi in un’avventura che comprendesse asfalto, sterrati, amicizia e ottimo cibo.
Negli anni a seguire, i quattordici Eroici della prima ora si sono moltiplicati che manco Noè avrebbe potuto fare di meglio, ed ecco che alla partenza de L’Artica 2023 (e, per la cronaca, 2022) i ciclisti d’antan avevano superato il numero di mille.
Ma… che cos’è l’Artica?
Una volta all’anno, allo spegnersi del mese di gennaio, gli appassionati di telai d’acciaio e di cambi sfrigolanti si danno appuntamento all’Ippodromo di Lonigo: un défilé inarrestabile di congiunzioni Cinelli, Record Campagnolo e divise delle squadre che i nati prima del 1980 ricordano alla TV e sulle nostre strade: Molteni, Ghisallo, Brooklyn e tante altre.
E poi i freak agghindati come lavoratori del dopoguerra – il panettiere su tutti – i fratelli contadini in tandem, la fidanzata dello sciatore anni ’80 con la maglia e i fuseaux dai colori sgargianti, come se ci trovassimo in quella parte di California dove il freddo si combatte in tenuta da spiaggia.
Siamo rimasti ammaliati dall’energia e dall’armonia di questa parte della nostra provincia, a maggior ragione quando la si attraversa su biciclette che, più che al “tempo”, mirano al “luogo”.
Anche noi di Rust and Glory abbiamo preso parte quest’anno all’Artica. Dopo il check-in – la procedura di accreditamento e di ritiro del pacco gara rasenta la perfezione svizzera – ci avviciniamo alla linea di partenza per i brevi discorsi istituzionali e le lunghe lodi degli organizzatori alla qualità dei ristori. D’altra parte l’Artica, in quanto ciclostorica, non è una competizione, ma si pedalerà pur per qualcosa!
Inforchiamo le vecchiette (marca Verlato di Barbarano, per chi ha la memoria lunga) e, spingendo sui pedali al fianco dei contado-brothers e sgomitando con i Cinellisti dai bulloni blu cobalto, guadagniamo – in barba alla A-competizione – una posizione in carovana tale da non mettere a repentaglio il nostro amor proprio.
Grazie al cielo, i primi chilometri sfilano in pianura: l’ideale per scattare qualche foto e fare due chiacchiere con le nostre nuove amiche ferraresi vestite tutte uguali come impone l’orgoglio di appartenere a una squadra sportiva, ma ciascuna con un edge creativo a dimostrare una forte personalità: chi gli occhiali da aviatore, chi il colbacco, chi il casco di cuoio da cui fluisce una treccia di capelli scuri.
Senza più fiato e riposte le macchine fotografiche, concentriamo lo sguardo sulla dolcezza delle colline, sull’asprezza dei vigneti invernali e sul genio delle Ville Venete: gli elementi che rendono la nostra terra una delle parti di mondo più belle. E allora, oltre agli emiliani, ai toscani e ai lombardi, ci aspettiamo di incontrare in futuro qualche folto gruppo di stranieri ammaliati dall’energia e dall’armonia di queste zone, a maggior ragione quando le si attraversa su biciclette che, più che al “tempo”, mirano al “luogo”.
Superata una salita ardita con relativa discesa verticale – non è vero, ma in quel momento ci sentivamo come Sante e Girardengo – raggiungiamo il ristoro dove possiamo finalmente apprezzare che ciò che era stato annunciato a gran voce: polenta e salame, vin brulé, prosciutto dei Berici. E ancora, dolci fatti in casa, baccalà e chi più ne ha…
A questo punto, da profani delle ciclostoriche, ne capiamo finalmente lo spirito: festeggiare insieme gioendo della bellezza quale comune denominatore del tutto, dai luoghi visitati agli acciai perfettamente lucidati, agli abiti che non importa se tirati fuori dalla naftalina o ricomprati tal quali; basta che comunichino un sano e stravagante spirito goliardico, la voglia di stare insieme e di stringere nuove amicizie per poi, magari, ritrovarsi in Toscana, in Lazio o di nuovo nel nostro Veneto. Il buon cibo certamente aiuta, il vin brulé fluidifica la parola.
Photo credits © Rust and Glory 2023
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