Milano, fine 1993. La Ducati, allora sotto il controllo dei fratelli Castiglioni (Cagiva), si prepara a svelare la degna erede della Ducati 888, all’epoca il gioiello hypersport della casa. Ma non è una semplice erede, no: ciò che sta per essere presentato è destinato a diventare un’icona senza tempo. È il Cagiva Research Center (CRC), diretto dal visionario Massimo Tamburini, a dare vita a questo capolavoro: la Ducati 916.
916 – Una rivoluzione tecnica
La 916 poggia su due pilastri del DNA Ducati: il telaio a traliccio tubolare e il motore Desmoquattro, un bicilindrico a L di 90°, quattro valvole per cilindro, raffreddamento a liquido e doppio albero a camme in testa. A tutto questo si aggiungono innovazioni decisive, come l’angolo di sterzo regolabile e, per la prima volta, il monobraccio posteriore. Quest’ultimo, oggi simbolo imprescindibile della casa, allora sembrava quasi un’affermazione di stile tanto quanto una soluzione ingegneristica.
916 – La bellezza come missione
Sin dal suo debutto, la Ducati 916 viene definita un’opera d’arte. Frutto della collaborazione tra Tamburini e il suo discepolo Sergio Robbiano, questa moto conquista unanimi consensi. Le sue rivali, goffe e pesanti, con i loro quattro cilindri anonimi, appaiono all’improvviso vecchie, scolorite. La 916 invece è pura scultura: scarichi sotto la sella, linee tese ed eleganti, curve che danzano tra sportività e grazia. Non sorprende che venga eletta moto dell’anno da quasi tutta la stampa specializzata.
Tamburini, spesso definito uno scultore più che un ingegnere, concepisce la 916 seguendo una filosofia inflessibile. Ogni prototipo non viene semplicemente testato in galleria del vento; no, Tamburini lo porta su strada, tra San Marino e Rimini, nei giorni di pioggia. Osserva le tracce delle gocce d’acqua sulle carene per studiarne il comportamento aerodinamico. È così, centimetro dopo centimetro, che il capolavoro prende forma.
L’obiettivo era audace, quasi folle: creare una moto dalla cubatura inferiore ai 1000cc, con la potenza superiore a una 1000cc e il peso di una 500cc. Il risultato? Una macchina compatta, snella, leggera ed elegante.
916 – Nata per vincere
In pista, la 916 non tradisce. Al debutto nel 1994, conquista subito il titolo mondiale Superbike (SBK). E non si ferma più. Pilotata dal leggendario britannico Carl Fogarty, che su di lei vince tre titoli mondiali, la 916 si afferma come una vera e propria macchina da guerra. Vincente, affilata, inarrestabile.
L’eterna prima
Solo un capolavoro come la 916 poteva far dimenticare la leggendaria 888. Più potente, più agile, più leggera, con un rapporto peso/potenza ineguagliabile. Ecco i numeri che parlano da soli:
- Potenza: 109 CV a 9.000 giri/min (contro i 94 CV della 888).
- Coppia: 9 mkg a 7.000 giri/min (contro gli 8,70 mkg della 888).
- Rapporto peso/potenza: 1,76 kg/CV (contro i 2,17 kg/CV della 888).
- Peso a secco: 192 kg (contro i 204 kg della 888).
Ma oltre ai numeri, è l’esperienza che conta. La 916 è una sinfonia meccanica: emozionante da guidare, con un design che sembra scolpito nel vento e un palmarès che la eleva a leggenda.
Redazione Rust and Glory. Images courtesy of Ducati.
Ispirazione 4h10.com.
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