L’arte di perdersi: riscoprire la strada tra tecnologia e istinto

Di Nicola Manca – IG @MicioGattillo | @MotocicliAudaci

L’Arte di Perdersi. O, per alcuni, una vera e propria dote: ci sono persone che non troverebbero l’acqua nemmeno al mare. Ma ognuno ha i propri pregi. In questa terza parte dedicata al tema del perdersi, voglio concentrarmi sulla dicotomia tra l’uso del GPS e il rifiuto del GPS. C’è chi lo adora e non potrebbe più farne a meno, e c’è chi lo odia (il sottoscritto, per esempio).

Ciò che è incontrovertibile è che il GPS ha rivoluzionato profondamente l’esperienza del viaggio in moto. Ha portato sicurezza e precisione, ma ha anche sottratto qualcosa di prezioso all’essenza stessa del viaggiare. Il navigatore satellitare ci dice esattamente dove andare, quanto tempo impiegheremo e dove fare rifornimento. Questa precisione millimetrica offre vantaggi evidenti: riduce lo stress quando si è in ritardo, permette di pianificare le soste con accuratezza e diventa una salvezza quando ci si perde davvero. Tuttavia, ha anche trasformato molti viaggi in una mera esecuzione di istruzioni, un seguire pedissequamente una linea blu sullo schermo.

Le mappe cartacee, d’altra parte, conservano un fascino unico. Dispiegare una mappa durante una sosta al bar ha qualcosa di rituale. Richiede tempo, attenzione e capacità interpretative. Una mappa cartacea offre una visione d’insieme che nessuno schermo può replicare. Ti permette di vedere contemporaneamente il punto di partenza e quello d’arrivo, di immaginare percorsi alternativi, di scoprire piccoli paesi o strade secondarie che il GPS ignora. E poi c’è il piacere tattile: le pieghe consumate, le annotazioni a matita e persino le macchie di caffè raccontano la storia dei viaggi passati.


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L’arte di orientarsi usando i riferimenti naturali è forse la competenza più preziosa e, al tempo stesso, la più rara. Ecco alcune abilità fondamentali:

  • Osservazione del sole: non solo per identificare i punti cardinali, ma anche per mantenere una direzione costante durante il viaggio.
  • Lettura del paesaggio: la pendenza delle colline, il corso dei fiumi, la disposizione dei paesi.
  • Interpretazione della vegetazione: un’indicazione preziosa sull’altitudine e sull’esposizione.
  • Osservazione delle costruzioni umane: i campanili delle chiese, le antenne, le linee elettriche.
  • Riferimenti mnemonici: un albero particolare, una curva caratteristica, un casolare abbandonato.

La vera maestria sta nel combinare questi tre approcci: usare il GPS per la sicurezza di base, consultare le mappe per avere una visione d’insieme e mantenere viva l’arte dell’orientamento naturale per instaurare una connessione più profonda con il territorio. Questo approccio ibrido consente di godere dei vantaggi della tecnologia senza perdere le competenze tradizionali.

C’è poi un aspetto spesso trascurato: la resilienza. Quando il GPS perde il segnale, la batteria si scarica o la mappa si bagna, sono le competenze di base nell’orientamento a salvarci. In quei momenti, la capacità di leggere il territorio, interpretare il sole e ricordare i riferimenti diventa cruciale.

Il vero motociclista sa quando affidarsi a ciascuno strumento:

  • Il GPS per attraversare una grande città sconosciuta.
  • La mappa cartacea per pianificare il viaggio e scoprire alternative interessanti.
  • L’orientamento naturale per vivere davvero il territorio e costruire ricordi del percorso.

Un bonus track per i più curiosi
Come accadeva nei migliori album di musica psichedelica o rock, vi lascio con una bonus track, quella traccia nascosta che scoprivi solo dopo qualche minuto, quando il vinile continuava a girare e tu non avevi voglia di cambiare lato.

Navigando sul web mi sono imbattuto in un acronimo curioso e divertente: GDM, che significa “GPS Di Merda”. Ovviamente, me ne sono innamorato.

La storia di questo acronimo nasce nel 1998, durante la leggendaria Parigi-Dakar. Nella tratta Boutilimt-Saint Louis, Fabrizio Meoni arrivò secondo perché il suo GPS smise di funzionare. In alcuni video su YouTube lo si vede inveire contro questa “diavoleria elettronica”. Suo figlio Gioele, allora bambino di 7 anni, cercava di spiegargli come caricare le tracce su quel dispositivo che Fabrizio odiava, al punto da soprannominarlo appunto “GDM”.

Oggi ritroviamo un Gioele cresciuto che ha onorato una promessa fatta a sé stesso: “Se mai dovessi inventare qualcosa per la navigazione, lo chiamerò come mio padre chiamava il GPS”. Nasce così il GDM, un’alternativa a Google Maps pensata per il fuoristrada. Nonostante sia un prodotto tecnologico, è progettato per essere semplice e intuitivo, come avrebbe voluto Fabrizio.

Il GDM consente di personalizzare i percorsi in base al tipo di fondo (strada o fuoristrada), al livello di difficoltà e persino a preferenze come la scelta di strade panoramiche. Provare per credere su gdm.whip.live.

E, se proprio volete perdervi, potete sempre spegnerlo e seguire il vostro istinto.

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