Shawn Stüssy: Il vento californiano e la nascita dello streetwear

La storia di Stüssy nasce dall’oceano, dal vento che soffia salmastro lungo le coste di Laguna Beach, in California. Shawn Stüssy, il ragazzo con la tavola da surf, il logo scritto come graffito di strada, e una piccola idea, non sapeva certo di star per dare inizio a una rivoluzione quando, tra un break e l’altro, cominciò a disegnare capi d’abbigliamento. Erano gli anni ‘80, e i colori del mondo sembravano più intensi. Nella testa di Shawn – occhiali scuri, capelli arruffati dal sale – c’era l’idea semplice, forse sconsiderata, che un marchio potesse avere fortuna senza il marketing, senza le grandi città e senza compromessi. Bastava essere autentici.

Shawn era un surfista che aveva iniziato a costruire tavole su misura per chi, come lui, non trovava nulla che lo soddisfacesse del tutto. Correva l’anno 1980 e gli shaper operavano nei garage e nelle cantine. Tenevano i piedi ben saldi a terra ma il cuore rivolto a orizzonti lontani. Erano ambiziosi ma, al contempo, sapevano godere del presente. A un certo punto, Shawn prese un pennarello e, quasi per gioco, iniziò a scrivere il proprio nome sulle tavole. Un nome che, senza rendersene conto, divenne la firma di una generazione.

Ma il surf, si sa, non è solo sport. È una filosofia, è ribellione. Così Shawn portò la sua firma sui tessuti: cominciò con un paio di magliette e poi felpe, cappellini, tutti disegnati con il suo tratto personale, scarabocchiando il suo nome come lo avrebbe fatto un ragazzino alla fermata di un autobus. Era un atto d’amore verso quel mondo di mare e sole, e allo stesso tempo una dichiarazione d’indipendenza. Quello scarabocchio era la sua voce, il suo modo di affermare: “Sono qui, e sono libero”.


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Le prime t-shirt Stüssy le vendeva, quasi per gioco, fuori dai surf shop, alle gare sulla spiaggia. Shawn non cercava fama, non voleva far parte di quel sistema patinato delle riviste di moda. Lui voleva solo che la gente portasse addosso qualcosa di vero. Così, senza nemmeno rendersene conto, inventò lo streetwear. A quei tempi, nessuno parlava ancora di streetwear, ma era già tutto lì: i materiali semplici, i colori fluo e quella firma che gridava libertà.

Shawn, negli anni, cominciò a viaggiare per il mondo, e così fecero le sue creazioni: le t-shirt e gli hoodie con quella firma a mo’ di graffito passavano di mano in mano, varcavano gli oceani nelle valigie e nella memoria di chi tornava da Los Angeles con un pezzo di quella cultura. Senza volerlo, Shawn Stüssy aveva creato una tribù, una “Stüssy tribe” di persone che condividevano quella stessa voglia di autenticità. Divenne un simbolo per gli skater che macinavano chilometri d’asfalto, per i rapper di New York che portavano quei cappellini come una bandiera e per gli artisti che vedevano nelle sue felpe il manifesto di un’estetica urbana. E c’erano poche parole per descriverla, quell’estetica: era il rumore dei marciapiedi e il mare in lontananza, era l’oceano e l’asfalto.

C’erano altri brand, certo, ma Stüssy non assomigliava a nulla. Quando gli altri cominciarono a copiare, a imitare quel modo unico di essere “fuori dalle regole”, Stüssy era già altrove, era in una piccola boutique di Tokyo o nei sotterranei di qualche club di Londra. Nessun compromesso, nessun cartellone pubblicitario gigante. Era quasi come se ogni maglietta portasse con sé una piccola storia, una traccia di quel sole californiano. E mentre altri marchi nascevano solo per riempire scaffali, Stüssy restava una voce autentica. Ogni capo da lui creato pareva dire: “Questa è una scelta, non una moda”.

Le collaborazioni con artisti e musicisti non erano manovre commerciali, ma incontri di spiriti affini. E mentre il mondo scopriva questa estetica semplice e sincera, arrivavano le collezioni con Nike, Supreme, e persino con artisti di fama mondiale. Ma Shawn sapeva mantenere le distanze. Era come un custode riluttante di una libertà che molti volevano catturare, ma che non potevano avere. Stüssy diventò qualcosa di prezioso proprio perché era inafferrabile.

Che cosa resta oggi di quel brand nato sulla costa californiana? Quell’impronta primitiva, quella firma che resiste come un graffito su un muro di città. Oggi Stüssy è un simbolo di autenticità, mentre tanti altri marchi che sono arrivati dopo cercano di rincorrerla senza mai raggiungerla davvero. Hanno le campagne pubblicitarie, le pubblicità patinate, gli slogan – ma non hanno il vento di Laguna Beach, il sole che tramonta tra le onde. Non hanno Shawn, quel ragazzino con la tavola da surf e un sogno che non apparteneva a nessun altro se non a lui stesso.

Stüssy oggi è lì, per chi sa ancora ascoltare la voce dell’oceano anche in mezzo al rumore delle città, per chi porta addosso una felpa non per moda ma come fosse una seconda pelle. Non c’è da sorprendersi se è diventato un mito, perché i miti veri non hanno bisogno di raccontarsi. Semplicemente, sono.

Redazione Rust and Glory

La più bella collezione delle iconiche pubblicità di Stüssy si trova qui.

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