A cura di Redazione Rust and Glory.
Foto del National Motorcycle Museum di Anamosa, Iowa (USA).
Negli anni ’30, mentre i venti di guerra iniziavano a soffiare sul Pacifico, un’azienda giapponese produceva motociclette su licenza americana. Rikuo, il “Re della Strada”, era un marchio nato da un accordo tra la Harley-Davidson e la Sankyo Company. Il patto era semplice: il Giappone poteva costruire e vendere motociclette con tecnologia americana, in un’epoca in cui Washington e Tokyo erano ancora legate da rapporti commerciali. Ma quel contratto, firmato in tempi di relativa pace, avrebbe portato a un paradosso storico: nel 1941, le stesse moto ispirate alla meccanica di Milwaukee avrebbero percorso i campi di battaglia come parte dell’esercito imperiale giapponese, contro le forze statunitensi.
Un affare d’epoca
La collaborazione tra Harley-Davidson e il Giappone inizia nei primi anni ’30, quando la casa americana cerca di espandere il proprio mercato in Asia. La strategia non è nuova: già la Ford e la General Motors hanno impianti in Giappone, e le industrie americane vedono il paese come un bacino di espansione. Come spesso succede, anche in questo caso l’idea è quella di aggirare i dazi doganali consentendo una produzione locale. L’accordo con la Sankyo, società giapponese specializzata in componenti meccanici, permette alla nuova Rikuo Internal Combustion Company di assemblare motociclette su base Harley-Davidson con strumenti e progetti forniti direttamente dagli Stati Uniti.
Nascono così le prime Rikuo 750 e 1200, copie quasi esatte delle Harley-Davidson VL e UL, robuste, affidabili e adatte anche ai percorsi più accidentati. Sono moto pensate per il trasporto civile e per la polizia giapponese, ma il destino della Rikuo cambierà rapidamente con l’evoluzione politica e militare dell’epoca.
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L’ombra della guerra
A partire dal 1937, con l’invasione della Cina da parte del Giappone, la produzione della Rikuo assume una connotazione sempre più militare. La Type 97, derivata dalla Harley-Davidson con sidecar, diventa il mezzo di trasporto delle truppe giapponesi, utilizzata per la ricognizione e il trasporto rapido di ufficiali. L’esercito giapponese ne ordina migliaia e la Rikuo diventa uno strumento della macchina bellica imperiale.
La contraddizione è evidente: mentre gli Stati Uniti iniziano a vedere il Giappone come una minaccia, i loro brevetti continuano a essere la base della produzione motociclistica giapponese. Harley-Davidson, che aveva inizialmente fornito macchinari e ingegneri per l’assemblaggio delle prime Rikuo, non può far altro che osservare l’uso bellico di quelle moto nate da tecnologia americana.
Nemici con lo stesso motore
Quando nel 1941 il Giappone attacca Pearl Harbor, la collaborazione industriale tra i due paesi è già finita da tempo, ma il retaggio di quell’accordo rimane. L’esercito giapponese combatte con mezzi nati da licenze americane, un’illusione di indipendenza tecnologica che si scontra con il pragmatismo bellico. Gli Stati Uniti, dal canto loro, entrano in guerra con i loro stessi brevetti in mano al nemico.
Questo tipo di paradosso non è isolato: anche la Germania nazista aveva utilizzato motori progettati da aziende con legami internazionali prima della guerra. Ma nel caso della Rikuo, il cortocircuito è ancora più netto: la licenza è diretta, il know-how è trasferito legalmente e l’intento iniziale è puramente commerciale. Solo con il conflitto il senso di quell’accordo si rovescia, diventando un boomerang per l’industria americana.
Fine di un’era
Dopo la guerra, la produzione delle Rikuo continua per qualche anno, ma senza più il supporto americano e con un mercato devastato dal conflitto, l’azienda fatica a sopravvivere. La produzione di moto cessa definitivamente nel 1958 e nel 1962 la Rikuo chiude i battenti.
La storia di Rikuo è un esempio emblematico di come l’economia e la geopolitica possano intrecciarsi in modi imprevedibili. Quella che iniziò come una semplice strategia commerciale divenne, nel giro di pochi anni, un pezzo di storia militare che causò il cessare della produzione di moto che, altrimenti, avrebbero avuto il successo che meritavano. Oggi, un nuovo corso storico fa sì che le Harley Davidson made in Japan siano apprezzate in tutto il mondo, ma si parla di artigianato e non di industria, di preparatori come Mooneys, Brat Style, Zero Engineering e non di fabbriche.
Di strade e custom show, non di campi di guerra.
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