John Britten. L’entusiasmo dei folli

John Britten: un nome che monopolizza qualunque conversazione tra appassionati di motociclette vere, artigianali e veloci. Britten non era solo un ingegnere chiuso nel suo garage. No, era un visionario, un ribelle, una tempesta su due ruote. Un uomo tagliato dalla stessa stoffa di Burt Munro, l’altro iconoclasta delle moto di questa terra selvaggia e indomita chiamata Nuova Zelanda.

I Primi Anni

Christchurch, Nuova Zelanda, 1950. Mentre i ragazzi si accontentavano di rugby, fumetti e cinema, John Britten già smontava e rimontava tutto ciò che gli capitava tra le mani. Ingegneria? Solo una formalità. Lavorava nel settore edile per mantenersi, ma il suo cuore batteva al ritmo di un motore a due tempi. Era solo questione di tempo prima che la sua passione e il suo genio producessero qualcosa di indimenticabile.

La Creazione della Britten V1000

Dimenticate le moto di serie, i prodotti delle catene di montaggio giapponesi e americane. La Britten V1000 era una creatura forgiata con pura passione e genio. Negli anni ’90, in un umile garage di Christchurch, Britten costruì una macchina che sembrava uscita dai sogni più folli di un meccanico: telaio in fibra di carbonio, motore bicilindrico a V da 999 cc, sospensioni inedite (meglio sarebbe dire rivoluzionarie) e un’aerodinamica per velocità da record, su pista e su strada.

La Britten V100 non è solo una moto. È una dichiarazione di guerra all’ordinarietà.

Immaginate Burt Munro con la sua Indian Scout, lanciata a tutta velocità sul lago salato di Bonneville, sfidando il tempo e la meccanica stessa. Ora prendete quella stessa energia, quella stessa sfida alla gravità e al buon senso, e mettetela su una pista da corsa. Questo era John Britten e la sua V1000.

Successi e Riconoscimenti

Daytona, 1992. La Britten V1000 irrompe sulla scena al Battle of the Twins. Questo capolavoro fatto a mano non solo compete, ma devasta la concorrenza. Come Munro prima di lui, Britten dimostra che la passione e l’ingegno possono sconfiggere persino i giganti industriali. La sua V1000 continua a trionfare, conquistando il primo posto alla BEARS World Championship nel 1995. La sua non era solo una moto; era una dichiarazione di guerra all’ordinarietà.

Crepaldi e Cabassi cacciatori di geni e di macchine veloci

1992. Roberto Crepaldi era uno dei tre soci della Numero Uno, insieme a Carlo Talamo e a Max Brun. Un giorno, come un fulmine a ciel sereno, gli arrivò la notizia di una moto che sfidava le leggi della fisica e del buon senso: la Britten V1000. Crepaldi, con l’entusiasmo di un archeologo che scopre un’antica civiltà, contattò John Britten.

La V1000 nera era una creatura rara, la seconda o terza del suo genere. Fu spedita direttamente sul Mountain dell’Isola di Man, pronta a correre nel Tourist Trophy. Mark Farmer la cavalcava come se avesse stretto un patto con il diavolo ma il destino, crudele e inesorabile, si abbatté su di lui. Farmer morì, e la moto fu ritrovata in pezzi. Sembrava la fine, ma non lo era.

Nel ’96, la Fenice-Britten risorse dalle sue ceneri. Giovanni Cabassi la vide correre al TT, danneggiata ma non domata. Roberto Crepaldi portò avanti l’assistenza alle gare. Alessandro Faravelli, direttore sportivo, guidava la macchina organizzativa da Cormano. E la Britten? Dove correva, vinceva. La videro trionfare a Daytona, Monza, ovunque. Dario Marchetti vinse a Monza con la sospensione posteriore rotta. A Daytona, la Britten giocava con una Ducati 851 come un gatto con un topo, superandola e risuperandola in un balletto di pura potenza e audacia.

Giovanni Cabassi incontrò John Britten a Monza. Il suo ricordo non è solo quello di un autentico genio ma di una persona con una gioia dirompente e un entusiasmo che contagiava chiunque avesse la fortuna di incrociarlo. La morte di Mark Farmer lo aveva segnato ma la sua tenacia restava incrollabile.

Nel 2006, Roberto Crepaldi passò la V1000 a Giovanni Cabassi. Per 12 anni, la Britten fu custodita come una scultura vicino alla sua scrivania. Era la moto più straordinaria che Giovanni avesse mai visto: un simbolo dell’ingegno e della passione di John Britten.

L’Eredità di John Britten

Il 5 settembre 1995, il mondo perse un visionario. John Britten, colpito da un cancro a soli 45 anni, lasciò un vuoto che nessuno avrebbe mai colmato. Come Munro prima di lui, Britten ha scolpito il suo nome nell’asfalto e nei cuori di tutti gli amanti della velocità e ha dimostrato che, con abbastanza coraggio e un pizzico di pazzia, anche i sogni più audaci possono diventare realtà. In un mondo di conformisti, John Britten rimane un faro per tutti quelli che osano sognare in grande e sfidare l’impossibile.

Pier Francesco Verlato

 

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