Poche auto assurgono a vere e proprie icone come le classiche, indistruttibili, squadratissime Volvo station wagon. Prese in giro, all’epoca, dai connazionali delle Saab Aero-sportive per il design ispirato a un tegel (mattone in Svedese, n.d.r.), le Volvo station dalla 145 alla V70 tracciano i confini di un periodo d’oro nella storia dell’automobile.
La prima auto familiare di cui io abbia memoria fu la 240 Polar di un’amica di famiglia: color argento, tre bimbi urlanti sul divanetto, il Golden Retriver ronfante sul tappetino del passeggero. Ricordo anche gli accessori: un plaid la cui trama era ormai composta, in egual misura, da lana canina e ovina, qualche mappa stradale sbiadita dal sole, l’autoradio Blaupunkt che alternava i nastri dei Dire Straits a quelli degli U2, il che mi rende, oggi, ancora più nostalgico.
Le portiere, la cui chiusura e apertura hanno certamente contribuito alla crescita dei primi muscoli sui nostri gracili corpi, erano talmente pesanti che, prima di tirare la maniglia, era d’obbligo controllare che ogni appendice corporea si trovasse al sicuro nell’abitacolo, coda del cane compresa. La pelle dei sedili prendeva la temperatura dei nostri corpi solo dopo una prolungata permanenza su di essa e, d’estate, la coperta di lana si rivelava fondamentale a prevenire danni permanenti agli organi riproduttivi.
La storia delle Volvo familiari risale al 1953 con la Duett, furgone per il lavoro durante la settimana e auto per le trasferte familiari nel weekend. «L’idea era quella di disegnare un furgone ma mi sono presto reso conto che avrebbe funzionato perfettamente come auto per tutta la famiglia», raccontò l’ingegner Erik Skoog a un giornale dell’epoca. Da allora, le auto familiari avrebbero conquistato i mercati di tutta Europa e degli Stati Uniti per i successivi cinquant’anni, prima della diffusione massiva dei SUV. In Volvo, l’incarico di proseguire nella tradizione delle station wagon fu affidato al designer norvegese Jan Wilsgaard.
La P220 che portava la sua firma comunicava al contempo praticità e piacere di guida ma fu senza ombra di dubbio la 145, lanciata nel 1967, a trasformare le Volvo station in feticci automobilistici. La carrozzeria interamente in acciaio, le zone deformabili per l’assorbimento degli urti, il design senza compromessi la connotarono fin da subito come un’auto al servizio di bambini, animali, mobili di casa, sci e windsurf. Era l’auto anti-status symbol e pro-famiglia e, nel dichiararlo al mondo, si prendeva anche poco sul serio, visto i prezzi comparabili a modelli decisamente più prestigiosi.
«C’è spesso bellezza nella funzionalità perché semplicità e buon senso le rendono attraenti» disse Wilsgaard sui princìpi che guidavano il suo lavoro di designer, e “funzionale” è il primo aggettivo che viene in mente se si tratta della sua successiva auto per le famiglie: la Volvo 240 Station Wagon. Rimasta in vendita per più di vent’anni e con oltre un milione di unità prodotte, sembrava già vecchia nei primi anni ’80 ma il look intramontabile (proprio perché… funzionale!) l’ha tenuta nei listini per tutta la prima parte degli anni ’90. La sua robustezza era poi leggendaria, tanto che, nei severi test di sicurezza americani, la 240 continuava a rappresentare il punto di riferimento dieci anni dopo la sua introduzione sul mercato.
Nel frattempo, si erano fatte avanti prima la serie 700, poi la 900, con spigoli ancora più affilati e posteriori sempre più “televisivi” (oggi, sarebbero un buon 50 pollici). Il lusso, a questo punto, si accostava alla funzionalità, tanto che non era raro incontrare mariti orgogliosi delle proprie serie 900 (perlopiù berlina), e mogli condannate a una sempiterna 240 Polar. Nel XXI secolo, se si escludono due modelli destinati a stratificare nella mente degli appassionati come la XC70 e la prima XC90, le Volvo sono diventate sempre più difficili da distinguere dalle auto di altre marche e destinate, purtroppo, al rapido consumo e a un ancor più sollecito oblio che, a pensarci bene, è il male dei nostri tempi. Nel 2023, la casa svedese, ora di proprietà della holding cinese Geely Auto Group, ha annunciato sommessamente che non avrebbe più prodotto auto station wagon a causa del “cambiamento nei gusti dei consumatori” e del “calo delle vendite”. È come se Levi’s decidesse di non produrre più gli iconici 501 a fronte dell’ascesa dei modelli slim fit. Ma i tempi cambiano e simboli di epoche che paiono immortali sono invece destinati a cadere in disgrazia. Successe al Colosseo e all’Arena di Verona, al Barocco e, per un breve periodo, anche alla Vespa. Come tutte queste icone, anche l’auto familiare tornerà, fosse anche solo per una nicchia di appassionati della funzionalità e dell’understatement.
Pier Francesco Verlato
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