Di Nicola Manca – IG @MicioGattillo | @MotocicliAudaci
Foto: The Mighty Motor
La seconda sfaccettatura del “perdersi” in moto è la sua dimensione filosofica.
Il motociclismo, come metafora della vita, possiede una profondità che va ben oltre il semplice spostamento da un punto A a un punto B. Quando ci si perde in moto, si sperimenta quel senso di disorientamento che a volte proviamo nella vita: momenti in cui le certezze vacillano, la strada davanti a noi sembra confusa e la mente è avvolta da una coltre di nebbia. Ma, proprio come nella vita, sono spesso questi momenti di apparente smarrimento a condurci alle scoperte più significative su noi stessi.
Nel viaggio in moto senza una meta precisa si nasconde una forma di libertà assoluta, quasi atavica. È un atto di ribellione contro l’ossessione contemporanea per il controllo e la pianificazione, un vero e proprio gesto di coraggio. Quando si parte senza una destinazione definita, si abbraccia l’ignoto con un misto di eccitazione e timore reverenziale: il motore ronza costante, le curve si susseguono, e l’unica bussola è l’istinto o la bellezza che ci si palesa davanti, attirandoci come il canto delle sirene. In questi momenti si riscopre il valore dell’improvvisazione, della spontaneità, dell’essere veramente presenti nel momento.
C’è anche una dimensione quasi meditativa nel viaggiare in moto. Il ritmo costante del motore, il vento che accarezza il casco, il paesaggio che scorre: tutto contribuisce a creare uno stato mentale unico, dove il confine tra il perdersi geograficamente e il perdersi nei propri pensieri diventa sempre più sottile. È ciò che i motociclisti chiamano spesso “terapia delle due ruote” – uno spazio mentale in cui i problemi quotidiani si ridimensionano, le preoccupazioni si dissolvono nel vento, e i pensieri fluiscono liberi come nuvole nel cielo. Tuttavia, a volte, questi pensieri possono trasformarsi in vortici, facendoci perdere la dimensione di protagonisti del nostro viaggio, sostituita dalle nostre preoccupazioni. Eppure, da qualsiasi prospettiva lo si guardi, questo vagare fisico e mentale possiede un potere trasformativo: nel perdersi geograficamente, spesso si trovano nuove prospettive sui propri dilemmi personali. La strada diventa uno specchio delle scelte di vita, ogni bivio un’opportunità, ogni deviazione una possibile rivelazione. Non è raro che un motociclista parta con una domanda personale e torni con una risposta, trovata non nella destinazione, ma nel viaggio stesso.
Ti piace l’articolo? Sai, scriverlo ha richiesto tempo, energia e passione.
Vuoi fare qualcosa per noi?
Iscriviti alla nostra newsletter per ricevere contenuti esclusivi e lascia un commento sul nostro account di Instagram.
La solitudine del viaggio in moto – anche quando si viaggia in gruppo – crea uno spazio intimo di riflessione. Il casco diventa una sorta di camera di decompressione, dove i pensieri possono riorganizzarsi e le priorità si riordinano spontaneamente. È un dialogo silenzioso con sé stessi, interrotto solo dal rumore del vento e del motore.
Esiste però un paradosso interessante: proprio quando ci si perde – sia fisicamente che metaforicamente – si è incredibilmente presenti. La necessità di prestare attenzione alla strada, alle condizioni meteorologiche, al proprio corpo, crea uno stato di consapevolezza acuta, raramente sperimentato nella vita quotidiana. È una forma di consapevolezza in movimento, dove il presente assume una qualità quasi tattile.
In questo senso, il motociclismo diventa una pratica filosofica attiva – un po’ come la meditazione dinamica di G.I. Gurdjieff – un modo per esplorare non solo il mondo esterno, ma anche quello interiore. Il perdersi non è più uno stato da evitare, ma una condizione da ricercare: un portale verso una comprensione più profonda di sé e del proprio posto nel mondo.
Quando siamo in sella, ogni bivio rappresenta più di una semplice scelta stradale. È un momento di decisione pura, dove istinto ed esperienza si fondono. Proprio come nella vita, alcune scelte sono reversibili – possiamo sempre tornare indietro – mentre altre ci portano su strade che cambiano permanentemente il nostro percorso. In moto, però, queste decisioni hanno una fisicità immediata: il peso della moto che si inclina nella curva, la resistenza del vento, il cambiamento del paesaggio.
La consapevolezza in moto si manifesta soprattutto in questi momenti di scelta. È uno stato unico in cui ogni senso è amplificato: la vibrazione del motore attraverso il manubrio, l’odore dell’asfalto bagnato che preannuncia pioggia, il cambio di temperatura attraversando una vallata. Questa intensità sensoriale ci ancora al presente in modo profondo. Non c’è spazio per rimpianti sul passato o ansie per il futuro quando si affronta una curva o si valuta una strada sconosciuta.
In questo stato di presenza amplificata, le decisioni assumono una qualità diversa. Non sono più appesantite dalle aspettative o dai “dovrei”, ma diventano più pure, istintive e autentiche. È come se la moto ci permettesse di accedere a una saggezza corporea che spesso ignoriamo nella vita quotidiana.
Il parallelismo con le scelte di vita si fa ancora più evidente considerando come gestiamo l’incertezza. In moto, non tutte le strade sono ben segnalate, non tutti i percorsi sono riportati sulle mappe. A volte dobbiamo fidarci di indicazioni approssimative, del nostro intuito, di ciò che il paesaggio suggerisce. Non è forse così anche per le grandi decisioni della vita? Raramente abbiamo tutte le informazioni che vorremmo, eppure dobbiamo scegliere.
La pratica della consapevolezza in moto ci insegna anche a gestire la paura e l’incertezza. Quando affrontiamo una strada sconosciuta, un tempo incerto o un percorso impegnativo, non possiamo permetterci il lusso del panico. Dobbiamo restare presenti, consapevoli, connessi con la moto e con l’ambiente. Questa capacità di rimanere concentrati nell’incertezza è una lezione preziosa che si trasferisce facilmente alla vita quotidiana. La moto, da oggetto, si trasforma così in un maestro di vita.
Infine, c’è la questione del ritmo. In moto, come nella vita, ogni percorso ha il suo ritmo naturale. Forzarlo porta invariabilmente a errori, tensioni e rischi inutili. La consapevolezza ci aiuta a trovare questo ritmo, a rispettarlo e a fluire con esso invece di contrastarlo. È una lezione di umiltà e saggezza: non siamo noi a dettare il ritmo alla strada, ma è la strada a suggerirci il giusto passo, permettendoci di danzare al suo ritmo come seguendo un metronomo.
C’è poi l’ego, che in moto, come nella vita, può essere un pessimo consigliere. Ci spinge a rischiare inutilmente, a ignorare i segnali di pericolo, a superare i nostri limiti in modo avventato. La consapevolezza ci aiuta a riconoscere quando è l’ego a guidare le nostre scelte, permettendoci di tornare a una consapevolezza più autentica e saggia.
E così, ancora una volta, emerge quanto sia utile e bello perdersi. La moto si rivela non solo uno strumento emozionante, ma, se condotta con saggezza, curata con premura e vissuta pienamente, anche una preziosa consigliera silente e una fidata alleata per affrontare le sfide della vita.
Commenta con Facebook