Settant’all’ora. Torno verso Vicenza a manetta aperta, a velocità degne della Milano-Taranto, delle Gilera Saturno e delle Trecinquanta Morini. Torno schivando nutrie gonfie di alghe e di ninfee, grosse come sacchetti dell’immondizia rotti, con l’immondizia mezza di fuori.
Al di là delle rogge, campi gialli d’orzo, verdi di soia, con il giallo e il verde che poi sfumano e si tuffano nel cielo azzurro, lì, sull’orizzonte, dove l’occhio umano si incastra nella curva terrestre, perché il Polesine è una delle poche terre di nord-est dove la vista si prolunga finché le è data la facoltà di farlo grazie all’assenza di capannoni, condomini, ciminiere e abomini. Giusto qualche “casone” a interrompere i campi giallo-verdi ma non disturba: roba d’antan, troppe volte lasciata andare, con la pietra grezza delle murate che disegna la sagoma del camino e della canna fumaria in altorilievo.
Paolo detto Petrō Classic e io, qualche giorno prima, avevamo puntato le nostre mini ruote dalle Prealpi alla “Bassa” con la speranza di ripercorrere le orme di Luigi Ghirri, scattare qualche foto che non avrebbe fatto inorridire il Maestro, sfamarci d’anguille pescate due o tre ore prima. Valuterete voi le immagini qua sotto, oltre a un breve video di quelli oscenamente verticali. «Sai, è per i social», dicono gli esperti, come se gli esseri umani portassero gli occhi uno sopra l’altro.
La diversità a portata di Vespa
È incredibile come tutto cambi nell’arco di pochi chilometri: la provincia di Rovigo pare un altro mondo rispetto a Padova ma ecco che Ferrara lascia tutti spiazzati. Via via che si scende di latitudine, ai bar alla moda si sostituiscono le bocciofile, alle ville venete i casali, al dialettaccio del “fasso tuto mi” l’affabile calata emiliano-romagnola che ti fa sembrare tutti amici, tanto che un furbacchione potrebbe rifilarci una bella fregatura mentre ci strappa un sorriso con il suo accento da orchestra del liscio. Non è mai successo, e continuerò a lasciare le chiavi sulla Vespa mentre bevo il caffè al bar.
Comacchio è una Venezia per gente che sa
Tutti a Venezia, a farsi fregare dai ristoratori avidi d’America e dai croupier di strada. Tutti a Venezia per spritz e spuncioto a diciassette euro, per il prosecco al metanolo e il caffè a Piazza San Marco. È chiaro che le due città non siano paragonabili per l’abbondanza d’arte, di musei e di ponti della capitale veneta, ma Comacchio val bene un’uscita dall’autostrada per i suoi canali pittoreschi, i ponti costruiti l’uno sull’altro, il miglior cibo che abbia mai provato nel raggio di duecento chilometri da casa. Oltre a un mercato settimanale di felliniana memoria, alle botteghe-come-un-tempo, ai preti in bicicletta con l’abito talare sospinto dall’incredibile velocità.
La rive droite dell’Adige
Si può percorrere l’argine del fiume Adige per parecchi chilometri tra Monselice e Rosolina, con la vegetazione rigogliosa e le costruzioni di un tempo che fu: dalla trattoria alla Chiesa, dalle case della cultura all’azienda agricola di settima generazione. Lo sbocco sul Delta del Po’ ci para davanti agli occhi il verde-smeraldo della palude che si confonde nel blu-Adriatico, i fenicotteri rosa e l’inconfondibile atmosfera salmastra.
Un pezzetto di cuore e… di Vespa
La nostra permanenza nella “Bassa” è durata il tempo di una cena più colazione ma ci ripromettiamo di tornare per rendere ancora onore a Luigi Ghirri, alla sua arte, agli amici di quelle zone. Il pezzetto di Vespa che ho lasciato a Comacchio è il condensatore… rotto, bruciato, inerte. Se l’è preso Andrea, un appassionato locale, ma, in compenso, mi ha restituito la Vespa ringiovanita e pimpante. Grazie, brav’uomo!
È per questo motivo che l’articolo si apre con “Torno verso Vicenza”, per la pausa forzata della Vespa a Comacchio da domenica a mercoledì mattina (n.d.r.).
Godetevi le foto e il videino.
A presto nella “Bassa”,
Pier Francesco Verlato
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