Di Nicola Manca – IG @MicioGattillo | @MotocicliAudaci
Foto di Filippo Ceccucci
Perdere. Quanto è bella questa parola? Se la cerchiamo sul dizionario sembra un viaggio all’inferno e una dannazione per l’anima. Eppure, in essa è nascosto quanto di più bello e appagante possa esserci.
Per questo motivo ho pensato di enucleare cinque aspetti per altrettanti articoli nei quali declinare questo concetto secondo diverse sfaccettature: il perdersi come esperienza positiva; la dimensione filosofica; gli aspetti pratici del perdersi, quelli sociali e infine il contrasto.
Ci ho riflettuto in nave, dopo una trasferta fra le placide colline dell’Oltrepò pavese, dopo un risultato non in linea con le mie aspettative ottenuto al campionato italiano scrambler e maxi enduro.
Decine e decine di chilometri, due traversate del tirreno e, per una scelta di gomme sbagliate e nonostante le potenzialità sul cronometro, ho perso. Eppure sono tornato a casa con un non so che di contentezza, così dissonante che mi ha fatto venire voglia di ragionare su questa parola e trovarne gli aspetti positivi.
Ebbene, è capitato che di aspetti positivi ne abbia trovati più di quanti non pensassi, tanto da doverli trattare singolarmente – e non esaustivamente – per non arrivare a scrivere un lungo e noioso pamphlet sull’argomento.
Nel mondo del motociclismo, perdere o perdersi possono trasformarsi da inconveniente a privilegio. È quel momento in cui la strada principale diventa secondaria, quando il programma prestabilito si dissolve nel rombo di un motore a V con distribuzione ad aste e bilancieri e nella curiosità di scoprire cosa c’è dietro quella curva inaspettata.
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Abbandonare i percorsi prestabiliti significa liberarsi dalle catene del preconfezionato. È in questi momenti che si scoprono le trattorie di paese dove il menu è ancora scritto a mano, i piccoli borghi dove il tempo sembra essersi fermato, o quei tratti di strada panoramica che nessuna guida turistica menziona. Sono i luoghi, fisici o dell’anima, dove la genuinità dell’esperienza supera qualsiasi pianificazione.
La scoperta delle strade alternative al desiderio rappresentano il cuore di questa esperienza: sono quelle vie che serpeggiano tra le colline, magari non perfettamente asfaltate, ma che regalano emozioni uniche. Il desiderio infatti, per sua stessa ammissione, viene dalle stelle – ab astris – , mentre sarebbe più auspicabile considerare anche vie non battute: un viaggio con le stelle – cum astris – è decisamente meglio, no? – E allora si apre quel ventaglio di possibilità di beatitudine guardando un campo di girasoli irradiato dal sole, una vista mozzafiato su una valle, il profumo intenso di un bosco di pini. Queste strade richiedono una guida più attenta e consapevole, trasformando ogni chilometro in un’esperienza immersiva tanto da riuscire a rimanere nel presente e, soprattutto, presenti a sé stessi.
Ed è così che, al ritorno dalla gara, inconsciamente, ho fatto incetta di questi tesori. Ho perso ma non mi sono perso, anzi, forse mi sono ritrovato fra quelle strade sconosciute affrontate alla ricerca del terreno dove svolgere la prova speciale, durante il trasferimento anacronisticamente frecciato come si usava un tempo e del quale non sapevi né dove ti avrebbe portato né quanti chilometri sarebbero mancati alla fine.
Il banale perdere una competizione per la quale mi ero preparato duramente e conseguentemente mi aspettavo un diverso risultato, al lato pratico mi ha fatto perdere la bussola e l’orientamento rispetto a un percorso mentalmente stabilito. Nonostante questo, non vi è stato scoramento, anzi, son riuscito a godermi ogni singolo istante delle persone con le quali ho condiviso il mio tempo, una birra o scambiato semplicemente due parole. Questo perché l’insegnamento più grande che mi ha dato questa debacle è stata quella di considerare… considerare anche di poter perdere! Fa parte della vita, no? E allora accettiamolo e impariamo a goderne.
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