Sky è un Drahthaar con le orecchie di un Basset Hound, o un segugio nero con il muso da spinone. Ha il tartufo di un formichiere, gli occhi di un uomo anziano, l’accelerazione di un Quarter Horse.
Sky è un cane bastardo che Alessandra e io abbiamo salvato tre anni fa da una gabbia per la vita al canile dell’Aquila. Ora mangia solo carne, ti abbaia in faccia se non lo porti fuori all’ora comandata (da lui), poltrisce su divani marca Poltrona Frau.
Nonostante abbia rivoluzionato la nostra vita eliminando ogni chance di viaggi intercontinentali, di riposo mattutino e di cene in casa con gli amici (finché ci abbiamo provato, la conversazione avveniva tra uno “Sky, stai giù” e un “Basta Sky! Vai di là”: ordini ovviamente disattesi) con, però, l’evidente vantaggio dei diecimila passi al dì che i ricercatori di Apple indicano come necessari ad evitare una morte lenta e dolorosa, sentivamo il bisogno di integrare la nostra famiglia canina con un esemplare in grado di scrollare l’argento vivo di dosso al nostro primogenito.
Alessandra lo sentiva. Io ne avrei fatto a meno.
È così che, dopo aver trascorso gli ultimi due anni sugli account Instagram di tutti i rifugi, canili e associazioni d’Abruzzo (la fedeltà alla terra di mezzo era condizione necessaria all’adozione), e dopo un paio di occasioni mancate per un soffio (“Quella è una famiglia con bimbi, non vorrete mica negarle la gioia di un Maremmano da sessanta chili”), ecco che Alessandra, alle ore piccole dell’ennesima notte di ricerche ininterrotte, mi dice:
“È lei. Andiamo a vederla questo weekend. È una pastora buonissima”.
“Ma tesoro non c’è tempo. Bisogna fare i documenti per l’affido”.
“Domani mi faccio spedire tutto e fisso il sopralluogo con l’associazione”.
Il sopralluogo è quello a casa nostra, dove una persona di fiducia dell’associazione che ha in custodia il cane verifica la presenza delle condizioni necessarie all’adozione: il giardino all’italiana, la vasca con l’acqua di fonte, i divani in pelle fiore per il riposino.
“Come vuoi tu, amore” (con la condiscendenza dell’uomo sposato che voglia evitare l’immediata e inoppugnabile perdita dei benefici coniugali e/o la drastica riduzione della libertà individuale).
Sabato 8 marzo 2025. La Land Rover è pronta, i bagagli di due giorni posizionati sulle panchette degli alpini, il Drahthaar sdraiato a mo’ di Paolina Borghese del Canova che occupa tutto lo spazio tra una panchetta e l’altra. Mi chiedo come faranno a starci, con la pastora che dalle foto sembra due volte lui e l’omessa informazione sul peso del cane, il che mi fa temere il peggio. Per fortuna l’auto, con il telaio a longheroni, non dovrebbe avere problemi.
Il viaggio è lunghissimo, soprattutto con un fuoristrada d’antan senza autoradio e senza spazio per il gomito sinistro del guidatore. Aggiungete la ventola del riscaldamento rotta, spifferi da ogni dove e la fiatella di Paolina Borghese che, ancora più allungata, ronfa a dieci centimetri dalle nostre nuche.
Sono le 23.00 ed eccoci finalmente a Villa Santa Maria, in Val di Sangro, un posto selvaggio e meraviglioso, rovinato solo da un viadotto costruito per accomodare le poche auto e i camion in transito sulla Statale 652: una bomba ecologica che, per giunta, quando piove scarica ettolitri d’acqua da 100 metri d’altezza. Era il 1990 e qualcuno ci avrà guadagnato.
È buio e ventoso e confondo il parcheggio dell’agriturismo con quello di una casa privata. Scendo, mi sgranchisco la schiena e sgrano gli occhi alla vista di un pastore tedesco a due metri da me. Si lancia in avanti ma la catena lo frena. Non so se anche in Abruzzo valgano le leggi proposte dagli animalisti da tastiera del tipo “Vietato tenere i cani alla catena” ma, se così fosse, ringrazierò quell’infrazione per tutta la vita.
È domenica mattina e dobbiamo incontrare Diana-la-Pastora. Ci inerpichiamo verso Quadri, un paesino sorto mille anni orsono intorno all’Abbazia Benedettina di Santa Maria de Quadris. Abbiamo programmato la conoscenza di Sky con la sua nuova compagna di vita lungo le rive del torrente Sangro. La volontaria arriva in Panda con Diana sul sedile posteriore. Il fatto che sia riuscita a rinchiuderla in una Panda mi dà sollievo ma, quando ci avviciniamo al finestrino, l’attenzione è tutta sul torace del cane che sarà un metro di circonferenza, sul collo taurino, sugli occhi leggermente divergenti che ci guardano da sotto in su contribuendo, insieme alla bocca semiaperta e alla lingua penzolante, a un’espressione mansueta e un po’ scemotta.
Alessandra condivide il mio punto di vista: dovremo farla dimagrire.
La riva del torrente non è una soluzione praticabile per la vicinanza alla strada e l’inclinazione di Sky a fuggire ovunque lo porti il suo naso, ma l’alternativa di un campo sportivo in disuso con tanto di rete perimetrale giunge in nostro soccorso. È lì che Sky e Diana fanno le prime corse (Sky corre, lei arranca), si scambiano le prime annusatine, si prodigano in tentativi di ridicola dominanza reciproca.
Dopo due ore di osservazione inconsapevole dei due animali da parte nostra, di chiacchiere pseudo-etologiche con le volontarie dell’associazione e di qualche foto scattata a immortalare il nostro primo giorno con Diana, chiediamo di tenerla per il resto del pomeriggio.
La fase successiva è un tentativo di passeggiata, ma ci rendiamo presto conto che Diana non riesce a camminare oltre poche centinaia di metri. È grassa e, nell’ultimo anno, ha lasciato raramente il rifugio.
Carichiamo entrambi i cani sulla Land Rover e ci rallegriamo nello scoprire che un’altra preoccupazione era infondata: i due sono del tutto mansueti e rispettano ciascuno gli spazi dell’altro. La nostra destinazione è Atessa, un paese poco lontano, dove un veterinario, per nulla intimorito dalla stazza di Diana, ci rassicura sulla sua salute dopo averla visitata con tanto di esami ematici e radiologici. La radiografia rivela un proiettile a contatto con il femore sinistro.
“A ‘sto cane gli anno sparato. Per fortuna senza danni”.
Un altro sospiro di sollievo.
Il viaggio del ritorno è lunghissimo ma ci concediamo ben due soste sul bellissimo lungomare delle Marche. Il sole è alto, l’Adriatico frange arrabbiato sugli scogli e i nostri due trovatelli esprimono la loro felicità con deiezioni ovunque. Sono bravi perfino al ristorante, perché un piatto di spaghetti allo scoglio e un quartino di vino bianco non potevano mancare a conclusione di quest’avventura.
È passata una settimana: Diana ha perso i primi due chili su sette e le passeggiate ammontano già a qualche chilometro di argini e boschi.
Pier Francesco Verlato
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