Marocco in moto: una bellezza senza scuse

Ci sono viaggi che non si lasciano raccontare con precisione. Il Marocco è così: un mosaico imperfetto, disordinato, pieno di vita. Non è una cartolina immacolata, con cieli sempre blu e sorrisi perfetti. È una danza caotica di suoni, odori, colori – una bellezza scomposta che si rivela poco a poco, come se volesse metterci alla prova.

Marrakech ci accoglie con un’energia sfrontata. Non è una città che ti prende per mano; ti lancia in mezzo alla sua folla e aspetta che impari a danzare al suo ritmo. Nei vicoli della medina, ci perdiamo e ritroviamo più volte, ma non c’è mai disagio. Solo un’intensa curiosità. Le mura rosse sembrano respirare, pulsare con la vita che brulica intorno. Ogni angolo offre un dettaglio fuori posto eppure perfetto: una porta di legno sgretolata, un gatto appollaiato su una pila di tappeti, il profumo del coriandolo mescolato a quello della polvere.

Il viaggio, però, non è solo una questione di luoghi. È la moto a dargli una dimensione diversa, a trasformarlo in un’avventura nel senso più autentico. Ogni chilometro percorso è una danza con le Renault 12 che dagli anni ‘70 viaggiano cariche come dei Kamaz, con i carretti trainati dagli asini, con i bimbi che si sbracciano per salutarci, ma è anche una celebrazione della libertà pura. La moto non ti protegge, ti espone: agli odori della terra e alle asperità del terreno, al contatto diretto con il paesaggio, alla fatica e alla gioia di sentirti parte di tutto ciò che ti circonda.

Attraversare il Marocco in moto significa abbracciare l’imperfezione dei luoghi e delle situazioni. C’è solo da adattarsi, da lasciarsi andare, da imparare ad apprezzare anche la difficoltà. E così, ogni tappa diventa più intensa, più viva.


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Poi c’è Jemaa el-Fnaa, la piazza che non dorme mai. Di giorno, un disordine organizzato: venditori che urlano offerte, serpenti che danzano al suono di flauti stonati, il profumo acre delle spezie che si confonde con il fumo delle griglie. Di notte, la piazza cambia volto, come se si vestisse per un ballo: le luci delle bancarelle illuminano il buio, e la musica si alza, ritmata e ipnotica. Guardo quel caos e capisco che non c’è niente da aggiustare. L’imperfezione è l’anima di quel luogo.

Essaouira, invece, arriva come un respiro profondo. Non è silenziosa e il rumore del vento e delle onde domina tutto. Qui, la bellezza è nei dettagli trascurati della medina bianca e blu: le crepe nelle mura, i panni stesi che ondeggiano sopra le vie, le mercanzie più disparate a ogni angolo di strada. C’è un “caos tranquillo” se paragonato a quello di Marrakech: i pescatori sistemano le reti, i surfisti risalgono la battigia. Nessuno sembra preoccuparsi del tempo, dell’aspetto delle cose.

Il bello dell’imperfezione è che ti costringe a rallentare, a guardare meglio. In un mondo che sembra ossessionato dall’ordine e dall’efficienza, il Marocco ci insegna che c’è una bellezza più profonda nel lasciare che le cose siano come sono.

Quando torno a casa, mi accorgo che il Marocco non se n’è andato. Mi segue negli odori della mia cucina, nel suono lontano di una musica che risuona nella mia testa, nelle fotografie che non sono perfettamente a fuoco ma catturano l’essenza di ciò che abbiamo vissuto. Non è un viaggio da raccontare con precisione. È un viaggio da vivere: un viaggio che, come la vita, non ha bisogno di essere perfetto per essere straordinario.

Pier Francesco Verlato

Moto: Ténéré Riders

Gear: Biondo Endurance

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