Andrea Chiaravalli è un artista, un motociclista e un ultramaratoneta. È il papà di Marta (che l’ha reso nonno da poco) e di Greta, una bimba che a nove anni era già un angelo. E se la vita finisce per alcuni, per altri continua tra l’inevitabile sofferenza e una forza che non si pensava di avere. Il doppio filo che lega l’amore per Greta alle imprese sportive di Andrea è stato raccontato da Mario Calabresi.
Ciò che segue è una chiacchierata sulle sue passioni, sulla sua vita di artista, sul ruolo della moto nel tratteggiare – come un disegno che mai si completa – le sue giornate milanesi.
Milano, una mattina di febbraio 2025
Andrea posteggia il suo Dyna Super Glide fuori da Cucchi, la storica pasticceria di Corso Genova degli argenti lavorati di fino e delle porcellane più che centenarie, dove il menu sembra quello di quando, per fare colazione, si posava il cappello a cilindro poco più in là sul divanetto. Indossa un abito Principe di Galles, le Birkenstock e un parka Patagonia: un accostamento che denota la noncuranza che solo i più eleganti possono permettersi, quando anche i dettagli più eccentrici passano inosservati.
“Sto preparando una mostra qui a Biffi Boutique, girato l’angolo. Inaugura a aprile”. Andrea è un artista: disegnatore soprattutto ma anche pittore e incisore e sfido chiunque tra coloro che leggeranno quest’articolo a non avere mai sfogliato un numero di Riders, di Moto Heroes o di About BMW, tutte riviste che hanno ospitato, e che in alcuni casi continuano a pubblicare, i suoi disegni e le sue parole.
Andrea è, ovviamente, anche un motociclista – Harley Davidson e BMW in particolare – e il suo immaginario creativo attinge alla grande dal mondo delle due ruote, restituendo però molto di più: “Preferisco dipingere il corpo umano: la diversità è infinita mentre nelle moto, se sbagli di un po’ le proporzioni, il disegno diventa impresentabile”.
Tutto grazie a una pallonata in faccia
Eppure, tutti gli chiedono disegni di moto, ma anche di automobili e motoscafi. Il corpo umano, nelle opere che gli vengono commissionate, appare solo a fianco di un mezzo meccanico, come se l’uno fosse il necessario complemento dell’altro. “Parte tutto dalla moto. Da piccolo mi affascinavano i cavalli, facevo equitazione e ne avrei voluto uno tutto mio. Mia sorella, un’estate in Liguria, calciò un pallone in faccia alla figlia dei vicini di casa americani. I miei dovettero scusarsi con la bimba e con i suoi genitori ma da quell’incontro rocambolesco nacque un’amicizia molto intensa, tanto che mia sorella ed io, l’anno successivo, partimmo per sei settimane a Los Angeles come loro ospiti”.
Harley Davidson e 1%ers
“Quell’estate in California fu una rivelazione, tanto più che avevo sedici anni e cominciava a delinearsi nella mia mente una chiara idea di che cosa mi interessasse. Durante un viaggio in automobile dalla città al Sequoia National Park – hai presente quelle station wagon col finto legno sulle fiancate – percorremmo la stessa strada di un gruppo di Harleysti: si trattava dei membri di El Forastero Motorcycle Club. Non solo li incontrammo per strada ma anche al campeggio del parco. Avrei voluto scattare delle foto con la mia Kodak usa-e-getta ma avevo paura a avvicinarmi. Mi affascinava il loro codice estetico: i vestiti, le movenze, le moto simili tra loro. E le moto erano stupende, come non ne avevo mai viste a Milano o ovunque fossi stato fino a quel momento.”
Il cavallo degli anni ’80 è la moto
Per comprare una moto – la prima moto – servono però i soldi e, tante volte, se le due ruote non sono la passione di famiglia, è spesso necessario provvedere da soli. L’occasione, per Andrea, si presentò con il Servizio Militare alla Scuola Militare Ufficiali degli Alpini ad Aosta, quando il suo milioneecinquecentomilalire## al mese gli consentì di acquistare una BMW R45. “Hai presente l’R45 ? Quando apri il gas non succede niente. Alberto Pradella mi aveva già suggerito l’R80 G/S ed ecco che da Bonsignori (l’officina di moto BMW a Milano, n.d.r.) ne trovai una perfetta per me. La usai a lungo e mi restò sempre nel cuore, tanto che quando la vendetti dovetti poi ricomprarla. Di lì a breve arrivò la K75 che, con il motore a sogliola e l’iniezione elettronica, rappresentava un passo avanti dal punto di vista tecnologico. Un giorno, però, andando a fare benzina all’Agip vicino al Cimitero Monumentale, sfilai davanti alle vetrine della Numero 1 di Via Nicolini. Avevo poco più di vent’anni, forse ventidue o ventitré, e venni trasportato all’improvviso nella Los Angeles dei miei sedici anni, come se l’acciaio a profusione, le forme così marcatamente yankee, i caratteri della scritta Harley Davidson mi ancorassero a un periodo fortemente significativo per lo sviluppo del mio gusto estetico e delle mie passioni. Lasciai a Carlo (Carlo Talamo, n.d.r.) la K75 e uscii con una Sportster 883 usata. Avevo comprato la K affascinato dal progresso e facevo ora un passo indietro di almeno vent’anni. Quelle forme senza tempo avevano improvvisamente messo a tacere qualunque velleità tecnologica.”
Il lavoro, l’Accademia, le gallerie
“Nel frattempo, uscito dal lavoro nella bottega di famiglia, frequentavo alla sera l’Accademia di Brera e, a seguire, la Scuola Superiore d’Arte Applicata al Castello Sforzesco. Le serate di studio erano tanto lunghe quanto le giornate di lavoro”. Cominciarono così le mostre, mentre l’arte diventava per Andrea un secondo lavoro. A quei tempi, non c’erano ancora il Wheels and Waves e il Bike Shed, e l’unica manifestazione dedicata a un certo motociclismo era il Super Rally. Andrea ne documentò le prime edizioni con fotografie e disegni che Carlo Talamo volle esporre in una personale a lui dedicata. “Dopo quella mostra, vendetti tutti i disegni e cominciai a essere conosciuto. Dieci anni più tardi, Giovanni Valla organizzò una mostra di fotografie che avevo scattato al Super Rally dal momento che ne avevo centinaia in archivio. Da quell’episodio, Roberto Ungaro, quando fondò Riders, mi volle per la rubrica In Serbatoio Veritas”.
La vita, oggi, è un sogno
Andrea, oggi, dipinge, esibisce le sue opere nelle e nelle gallerie d’arte, si muove velocemente sulle sue Harley Davidson e BMW. Il sodalizio artistico e professionale con Clara, sua moglie, dura ormai da quarant’anni e – da quando hanno perso Greta dodici anni fa – sono entrambi impegnati a sostenere iniziative benefiche a favore dei bimbi malati di cancro. La campagna a favore dell’Associazione Vidas lanciata in occasione dell’Everest Trail Race, a cui Andrea ha partecipato nel 2023, ha consentito di raccogliere finora oltre 132.000 euro, quando l’obiettivo era di 26.000. C’è ancora la possibilità di donare. Inoltre, Andrea devolve tutto ciò che ricava dalla vendita delle sue opere alla ricerca contro il cancro e alle strutture di ricovero pediatrico. “La vita è un sogno” mi confessa “perché non solo, dopo quaratun anni di lavoro, faccio finalmente ciò che più desidero, ma perché tutto, comprese le mie passioni, ha un senso che va oltre la mera soddisfazione del mio ego. Tocca, insomma, anche le altre persone. Nella vita – e anche nel lavoro dato che ero un gioielliere – ho sempre ricercato la bellezza. Ora, la cosa più bella sono le relazioni che creo e mantengo ogni giorno”.
Testi e foto di Pier Francesco Verlato
LINK:
Andrea Chiaravalli | Instagram (personale e moto)| Instagram (arte)
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