Affascinato dalla scena dei outlaw californiani, Hunter Thompson comprò un’Harley Davidson nel 1965 e si unì al gruppo degli Hell’s Angels di San Francisco. Hunter non era certamente un tipo tranquillo: perennemente attaccato alla bottiglia o sotto l’effetto di qualche narcotico, se ne andava in giro con RayBan da combattente del Vietnam, calzoncini da tennis e pistole di ogni calibro e fattura. Aveva una visione cinica della vita e, come traspare dalle sue opere, il sarcasmo con il quale si confrontava con gli accadimenti sfociava spesso nell’assurdo di situazioni che lui stesso viveva e delle quali si trovava a narrare. L’opera “Hell’s Angels” altro non è che la narrazione in stile Gonzo di un anno di eventi surreali e, la maggior parte delle volte, di una violenza sconvolgente.
Alcolizzati, rumorosi, nemici del sistema: questo erano gli Hell’s Angels nella scena americana degli anni ’60 quando, ancora prima della Summer of Love e di Woodstock, bande di soggetti turpi, barbuti e sopra il quintale terrorizzavano le comunità cristiane e conservatrici del sud della California in sella ai loro Hog. Ai tempi delle gonnelline a fiori e delle melodie dei Beach Boys erano proprio questi anti-cavalieri a rappresentare la libertà più assoluta, lo stile di vita del “faccio ciò che voglio, quando voglio”, il porsi come oppositori dell’establishment e derisori delle conquiste del ceto medio. Alcuni tra loro avevano famiglie e lavori più o meno rispettabili che finivano per perdere quando il chapter risucchiava le loro esistenze; molti altri erano liberi in tutto e per tutto, racimolavano qua e là pochi spiccioli e dedicavano la loro intera vita agli Angels.
A cavallo tra il motorcycle club e una setta, gli Hells Angels di Sonny Barger avevano scelto gli eccessi alla moderazione, il whiskey all’acqua minerale e, da quanto si evince dalla testimonianza di Hunter Thompson, le pillole alle sigarette. Avevano certamente una dirittura morale, il più delle volte in antitesi con il common sense del quale si riempiono la bocca gli Americani. E adoravano le loro moto, Dio sa quanto: sapevano tutto di motori e gli Hog erano tra le Harley più perfette e preziose che si incontrassero sulle soleggiate highway californiane negli anni ’60.
Ricordiamo l’opera Hell’s Angels con un paragrafo tratto dalla stessa. Grazie Hunter Thompson per averci raccontato una storia così affascinante. Se non ci fossi stato tu, non credo che l’avremmo mai sentita.
“…L’unico altro incidente del raduno capitò nella notte di domenica, poco prima della chiusura del negozio alle dieci. Gli Angels che erano stati lì tutto il giorno erano ubriachi fradici quando arrivò il momento di chiudere, ma volevano andarsene alla grande. Quando escono in gruppo, ubriachi o sobri che siano, partono come una squadriglia di caccia al decollo: uno alla volta, in rapida successione e con un rumore assordante. L’idea di base è che le partenze individuali prevengano le collisioni, ma gli Angels hanno ormai sviluppato questo rituale al livello di una rappresentazione drammatica. Non è importante l’ordine di partenza, ma lo stile e il ritmo sì. Avviano il motore con attenzione perché le moto partano al primo colpo. Se a un fuorilegge la moto non si accende come una saetta gli resta come uno stigma incancellabile. Come un’arma che si inceppa in combattimento o un attore che si incarta a una battuta cruciale…”
Hunter S. Thompson, Hell’s Angels: The Strange and Terrible Saga of the Outlaw Motorcycle Gangs, Random House, 1967
Photo credits: Life Magazine
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